Addio a sorpresa al vecchio forfettone Partite Iva, il conto potrebbe salire

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Il rischio che i contributi previdenziali obbligatori da versare alla gestione separata dell’Inps passassero in una notte dal 26%al 33%ha fatto tremare consulenti e altri professionisti con partita Iva. La norma è stata presa in seria considerazione dalle strutture ministeriali incaricate di preparare “i tagli”ma poi fortunatamente è stata derubricata. E ora però l’attenzione e le preoccupazioni delle partite Iva si è spostata sulla «morte del forfettone» .
Secondo la normativa fiscale vigente fino a ieri partite Iva e lavoratori autonomi — che a fine anno incassavano meno di 30 mila euro — potevano utilizzare il regime minimo fiscale, ovvero una tassazione forfettaria del 20%. Una sorta di cedolare secca che comprendeva l’Irpef, i tributi locali, rendeva superflua l’adesione agli studi di settore ed eliminava anche Iva e Irap. Con il decreto Tremonti il forfettone salta o meglio cambia pelle: scende drasticamente al 5%ma solo per coloro i quali hanno iniziato l’attività  negli ultimi cinque anni o vorranno iniziarla adesso. (In un primo tempo era stato previsto anche un limite anagrafico, 35 anni, che è stato eliminato nella stesura finale). In questo modo, secondo i calcoli che hanno fatto in queste ore gli artigiani di Rete Imprese Italia e le associazioni delle partite Iva (come Acta), ad avvantaggiarsene sarebbero tutt’al più 50 mila soggetti mentre si creerebbe un piccolo esercito di mezzo milione di «inconsolabili orfani del forfettone» . Che sentono parlare ogni giorno di una prossima riforma fiscale e intanto incassano in contropiede un aumento della «loro» pressione fiscale. Di quanto? Secondo i primi calcoli di Acta, l’associazione del terziario avanzato, per le partite Iva che guadagnano tra i 20 e i 30 mila euro si può parlare di una percentuale tra il 6 e il 9 in più di prelievo visto che continueranno a non pagare l’Irap ma saranno soggetti alle addizionali Irpef locali, agli studi di settore e dovranno comunque far pagare l’Iva ai clienti. Il regime fiscale del forfettone qualche difetto lo aveva perché potevano usufruirne anche i doppiolavoristi (che magari avevano un primo lavoro dipendente) ma la sua abolizione sic et simpliciter complica la vita a quei lavoratori autonomi già  in difficoltà  per i colpi della Grande Crisi e che si ritroveranno a pagare più tasse e una complicazione burocratica, al posto della tanto sventolata semplificazione. Insomma più che della partite Iva sembreranno dei gamberi che camminano all’indietro. Ma torniamo alla questione dei contributi previdenziali.
 L’aumento al 33%è stato davvero depennato o solo rinviato? Il sospetto di un mero slittamento circola ampiamente anche perché sul tema siamo in presenza di un singolare paradosso politico. Ad aumentare il versamento alla Gestione Separata Inps per ben due volte era stato un governo di centrosinistra (Prodi) con Cesare Damiano ministro del Welfare. Ora due ex ministri democratici, lo stesso Damiano e Tiziano Treu, nei loro progetti di Statuto del lavoro autonomo sembrano aver cambiato orientamento e non propongono più di aumentare i versamenti di collaboratori e partite Iva (anzi, Damiano vuole parificarli al 21%con commercianti e artigiani). Il centrodestra, che agli occhi della partite Iva non si è macchiato degli ultimi aumenti, non si sa bene cosa pensi perché non esistono disegni di legge che affrontano l’argomento.
Quindi il dubbio resta ed è possibile che da qui al mitico pareggio di bilancio del 2014 si ritorni a tosare le partite Iva. «Siamo sempre sul chi vive— dice Anna Soru, presidente di Acta—. La tentazione di far cassa con i nostri redditi è ricorrente, i sindacati confederali sono favorevoli in linea di principio e, visto che non abbiamo lobby che ci difendono, già  oggi paghiamo dieci punti in più dei professionisti tutelati da Ordini» . Con la manovra di finanza pubblica varata dal governo il mondo delle partite Iva è investito da una terza importante novità . L’esecutivo (giustamente) ha deciso di procedere alla cancellazione di quelle partite Iva inattive da tre anni che, secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate, dovrebbero essere all’incirca 2 milioni. E’vero che in questo modo non si potrà  più dire nei comizi elettorali che «l’Italia ha otto milioni di partite Iva» ma meglio così. Demagogia dimezzata e comunque un po’di trasparenza è necessaria per combattere l’evasione.
 E’probabile infatti che molte partite Iva in sonno in realtà  vengano usate come «cestini» per dirottare fatture oppure corrispondano a imprese che hanno chiuso l’attività  ma avendo in pancia un immobile non vogliono pagare le tasse dovute alla sua rivalutazione. Quante sono le partite Iva in sonno? E’difficile fare valutazioni e comunque, come succede in questi casi, il processo di ripulitura non sarà  velocissimo.
 Dato che finalmente si mette mano al registro delle partite Iva, potrebbe essere l’occasione di affrontare il tema della mono-committenza, ovvero di quei professionisti che lavorando per un solo cliente sono de facto dei lavoratori dipendenti mascherati. E che quindi andrebbero tutelati in maniera diversa perché rappresentano la «fascia debole» del lavoro autonomo.
Bisogna però considerare le eccezioni, non è sempre vero che avere un solo committente vuol dire essere sottoposti a un piccolo ricatto: un traduttore per problemi di mercato può perdere diversi clienti e può restargliene uno solo oppure un consulente informatico può avere l’incarico da una grande azienda di seguire un progetto pluriennale che gli satura la giornata lavorativa e non gli permette di coltivare altri clienti. Allora l’ipotesi che circola è di mixare i criteri, se la mono-committenza dà  un reddito annuo sotto una certa soglia dovrebbero scattare delle forme di tutela come il risarcimento in caso di interruzione del rapporto di lavoro. È chiaro che stiamo parlando di idee e simulazioni ma se non vogliamo che le partite Iva restino confinate tra gli Invisibili bisognerà  pure parlarne.


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