Scrittori, torna l’impegno

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   Adesso il collettivo c’è. O meglio c’è, ma è dimezzato. Il movimento TQ da oggi esiste ufficialmente, con tanto di manifesto nero su bianco e documenti programmatici, ma all’appello mancano molti della prima ora. Erano partiti in cento, alla conta finale però la generazione degli scrittori ed editori “Trenta-Quaranta” ha perso molti suoi figli per strada e le firme ai documenti sono state solo cinquantadue.
Il “movimento” forse si è mosso troppo, forse ha subito qualche scossa imprevista, o forse più semplicemente, come dicono i suoi fedelissimi, si è andato definendo nella sua identità  e quindi inevitabilmente ha finito per restringere i suoi confini. L’anima si è fatta sempre più politica e le prime discussioni letterarie sono state messe da parte. Critica aperta all’industria editoriale, occupazione degli spazi pubblici, lotta al degrado dell’informazione e della scuola, difesa dei diritti del lavoro. Addirittura azioni di “guerrilla” (“azioni di disturbo culturali e artistiche”). Il lessico dei TQ non fa sconti, e dunque è fatale che perda pezzi: da una parte i “letterati”, dall’altra i “politici”. Da una parte chi sperava in un nuovo Gruppo 63, dall’altra chi temeva un nuovo Gruppo 63.
Certo, qualche defezione era immaginabile, ma non la spaccatura tra i padri fondatori, coloro che il 29 aprile scorso lo avevano tenuto a battesimo nella sede romana dell’editore Laterza. Così dopo Mario Desiati, che da mesi si era defilato («non aderisco a iniziative collettive, perché tengo alla mia libertà  individuale»), ieri anche Giuseppe Antonelli in dirittura d’arrivo ha deciso di non firmare i documenti finali.
«Siamo cresciuti in ordine sparso, senza un’ideologia comune. Senza metodi, strumenti, terminologie condivise e questo forse è stato un bene. Qui invece, non solo la premessa è politica, ma precede tutto il resto». Sono queste le prime righe della lettera di congedo di Antonelli dal gruppo. Per lo storico della lingua qualcosa non ha evidentemente funzionato come previsto. Così se ai tempi dei primi incontri si augurava di organizzare una sorta di “Woodstock generazionale”, adesso il professore TQ è tornato sui suoi passi e ha detto no.
La generazione del riflusso è comunque pronta ad uscire da dietro le quinte e a conquistare la scena, riscoprendo l'”impegno”. E per farlo si fa promotrice di una nuova visione della cultura. Una visione così espressa nel “Manifesto TQ Editoria”: «Nell’operare di TQ, due sono le preoccupazioni che ne dettano le scelte: etica e qualità ». Come? Difendendo i “libri che valgono” e la “trasparenza” degli editori, combattendo la “concentrazione nelle mani di pochi grandi gruppi editoriali”, chiedendo soldi per la cultura (“contratti e tariffari di riferimento”), rifiutando il sistema delle recensioni a pagamento e così via… E qui si sono create le prime fratture.
«Non mi sento di condividere l’assolutizzazione che viene fatta del concetto di etica, che individua un’unica morale e elegge un gruppo di persone a garante e vigilante», spiega Antonelli, tenendo a precisare che la sua presa di distanza non è una frattura, ma semplicemente un altro modo per “mantenere aperto lo spirito del dialogo”. Ma chi è che può decidere se un libro è bello o brutto? Per Vincenzo Ostuni, editor di Ponte alle Grazie, «non bisogna arrendersi all’idea di vendere solo la letteratura cattiva, quella digestiva». Insomma, per i TQ non solo si può, ma si deve stabilire in anticipo quali siano i libri che meritano e segnalarli. A Simone Barillari sarebbe piaciuto ad esempio inserire nel documento finale un “marchio di qualità ” per i libri di prima pubblicazione, ma la proposta si è arenata lasciando il posto a una più generica “bibliodiversità “.
Un collettivo costituito da una generazione di individualisti è però una scommessa. Quasi una contraddizione in termini. Ma la virata politica dell’ultima fase a molti piace. Così a Gabriele Pedullà : «La nostra è una generazione di solitari che vuole ricominciare a fare politica», spiega lo scrittore, anche professore di Letteratura contemporanea. Dunque se qualcuno si è sfilato, altri, come Pedullà  appunto, non solo sottoscrivono i documenti finali, ma ne apprezzano la distanza dallo spirito troppo vago delle origini: «C’è una maggiore attenzione ai problemi politici, dunque rispetto alle mie perplessità  iniziali oggi sono più convinto».
Nessun dubbio. I documenti parlano chiaro. I TQ sono un gruppo politico e non un’avanguardia artistica o letteraria. Si dicono indignati e rivendicano “azioni comuni” per combattere il “diffondersi del neoliberismo come nuova epidemia dell’Occidente” (è quanto si legge in apertura del Manifesto politico). Parole che sembrano prese in prestito dal secolo scorso e che parlano della “responsabilità  collettiva” di un’intera generazione chiamata finalmente ad “agire insieme”. Nicola Lagioia ha scelto di firmare, nonostante non sia d’accordo su tutto: «La nostra generazione è cresciuta nel vuoto ideologico degli anni Ottanta. Per anni abbiamo vissuto una situazione di prostrazione, come se fossimo usciti da una guerra, senza che la guerra ci sia mai stata». Insomma la grande sfida è quella di imparare a lavorare insieme. Ci crede Giorgio Vasta, tra i cinque che hanno lanciato l’idea del movimento, insieme a Desiati, Alessandro Grazioli, Lagioia, e al dimissionario Antonelli: «La nostra guerrilla è attenzione al valore civile della discussione». Concretezza, dunque: meglio pochi, ma buoni.


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