Il Lingotto e il governo vogliono chiudere la Irisbus

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 NAPOLI.L’obiettivo è quello di buttare via l’unica fabbrica del paese che produce autobus di linea, un mercato che oggettivamente non potrà  andare in crisi finché ci saranno Comuni e cittadini che utilizzeranno il trasporto pubblico. Ma la Fiat se ne infischia, ha già  preso una decisione con il placet della politica e intende spostare la produzione in Francia e Repubblica Ceca, dove è più conveniente. Così ieri ha dichiarato di essere in perdita da 7 anni e ha fatto fallire il vertice romano convocato dai ministeri competenti e dalle parti sociali. Anche il governo che mai in questi anni ha pensato di mettere le ganasce alle ruote di Sergio Marchionne, ha i suoi meriti e ieri ha fatto la sua parte. Eccetto Gianfranco Rotondi, che con il suo dicastero in attuazione del programma ha pure tenuto a precisare di essere un ospite, nessun ministro si è presentato alla trattativa sindacale.

Assenze poco giustificate a partire dal rappresentante per lo sviluppo economico Paolo Romani che «a causa di altri impegni» ha inviato due supplenti, i sottosegretari Catia Polidori e Stefano Saglia, a gestire la cessione dell’azienda Irisbus-Iveco di Flumeri che mette a rischio, compreso l’indotto, 1700 posti di lavoro al Sud. Un chiaro segnale per mandare a dire alle organizzazioni dei lavoratori che la strategia è quella di traghettare la vertenza nel mare dei problemi secondari del paese. La soluzione, invece, sarebbe in mano di Palazzo Chigi che potrebbe con una sola mossa rifinanziare il parco autobus nazionale e mettere in un angolo il Lingotto, che d’altra parte pur di disfarsi dello stabilimento è pronto a regalarlo, con un bonus di 20 milioni di euro, ai fratelli De Risio produttori di Suv in Molise.
Con queste premesse alle due negli uffici ministeriali si sono seduti al tavolo Fiom, Fim, Uilm, i rappresentanti delle istituzioni locali, compreso il governatore Stefano Caldoro, nonché la dirigenza Fiat. Alle quattro una delle proposte era di mettere tutti in cig per un anno. Una trappola per calmare gli animi, fiaccare la protesta e nel contempo lavorare su quelle organizzazioni storicamente più malleabili e pronte a rompere il fronte sindacale. Abrogata anche questa. Così alle 5 e mezza era tutto finito, ma con un punto segnato dalle organizzazioni dei lavoratori che hanno scansato il fosso dell’addio ad Avellino da parte della Fiat. «Il tavolo è stato riconvocato per il 31 agosto – ha spiegato Enzo Masini, responsabile auto della Fiom – ora la strada è in salita, ma almeno abbiamo evitato tranelli e tutti i sindacati sono d’accordo ad andare avanti. Quindi ci sarà  anche un incontro con la presidenza del consiglio».
Meglio di niente. Lo sanno gli operai che ieri hanno deciso di restare davanti i cancelli della loro fabbrica e oggi saranno in assemblea nonostante i vertici della Irisbus abbiano programmato tre giorni di cig per sparigliare i dipendenti. Nella Valle Ufita il morale invece resta alto e anche il livello di guardia per scongiurare la (s)vendita della fabbrica che insieme alla Fma di Pratola Serra dà  da vivere all’Irpinia.


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