La trincea, l’esilio la pallottola d’argento Tre vie per Gheddafi

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Resistere fino all’ultimo
L’intelligence Usa è convinta che Gheddafi non voglia piegarsi. Combatterà  fino all’ultimo e morirà  sul suolo libico. Per dimostrare davvero di essere stato il Qaid, la Guida. A sua disposizione c’è quello che resta della trentaduesima brigata, gruppi di mercenari e miliziani provenienti dalla tribù Qaddafa e da quelle alleate. Tre i capisaldi: Tripoli, la città  natale di Sirte e l’oasi di Sebha, nel Sud. La difesa ravvicinata è assicurata dagli «uomini della prima fila», soldati arruolati fin da piccoli e diventati i «giannizzeri» del potere. Se gli insorti volessero mettere le mani su Gheddafi dovrebbero superare questo cerchio di sicurezza. Il colonnello conta ancora sul consenso di quanti hanno da perdere da un cambio di potere o non si fidano dei ribelli. Fino a poche settimane fa si diceva che Gheddafi avesse ancora un largo seguito. Difficile valutarlo. Molti starebbero aspettando di vedere come va a finire.
Certo è che la fuga di Abdel Salam Jalloud e del ministro del Petrolio Omran Abukraa sono segnali di un progressivo disfacimento. Al fianco del capo restano il ministro degli Esteri, Abdel Ati Al Obeidi — il protagonista del riavvicinamento con l’Occidente — e il premier Ali Al Mahmoudi, uno degli ultimi «uomini della tenda». Definizione che indica chi ha libero accesso alla tenda di Muammar. Importanti, ovviamente, i figli del colonnello. In particolare Khamis — sempre che sia ancora vivo —, Mutassim, Saif al Islam e Aisha. I primi due per il ruolo militare, gli altri due quali combattivi portavoce. La tesi della resistenza a oltranza troverebbe appoggi nelle condizioni del despota: malato, non lo si vede più in giro da tre mesi, vuole morire con la spada in mano.
Il negoziato
L’ala più responsabile dell’opposizione vorrebbe evitare la marcia su Tripoli. La pensa così anche la Nato. Troppe incognite, c’è il rischio di un massacro. Vi sono componenti poco controllabili. Come «l’esercito del sudario», gruppo comparso il 12 agosto in un video. Vestiti di bianco, i guerriglieri inneggiano al martirio e sembrano ispirarsi al qaedismo. Meglio allora trovare una soluzione negoziata con Gheddafi che, in cambio di un salvacondotto, lascia il Paese. In tanti ci lavorano. L’Italia lo ha fatto in passato, ora sono molto attivi i russi e i sudafricani. Anche i cinesi sono favorevoli. Il colonnello potrebbe raggiungere il Venezuela — due giorni fa tutto era pronto — o il Sudafrica, Paese dove Seif al Islam ha trasferito somme consistenti (almeno 250 milioni di dollari). Fonti arabe hanno aggiunto che Gheddafi in persona avrebbe fatto sondaggi in Marocco, Algeria, Tunisia ed Egitto per trovare ospitalità  alla moglie Safia, alla figlia Aisha, a nuore e nipoti. Un altro canale è stato aperto dai ribelli con il premier Al Mahmoudi. È un fedelissimo di Gheddafi e potrebbe essere ascoltato. C’è l’ostacolo del mandato di cattura internazionale contro il leader libico, ma potrebbe essere superato in modo pragmatico. Non lo eseguono. In teoria, questa via d’uscita sembra la più facile. E in questi mesi è apparsa a portata di mano. Ma alla fine Muammar ha sempre detto no. Ecco perché gli avversari e la diplomazia sperano che i figli — l’ultima carta — convincano il padre a partire.
La pallottola d’argento
È l’ipotesi sognata da molti. Gheddafi viene eliminato — la pallottola d’argento, la chiamano — da qualcuno dell’entourage. Una guardia del corpo, uno dei pochi gerarchi rimasti al suo fianco. Qualcuno che ha accesso al suo nascondiglio e lo uccide. Oppure lo arrestano e lo spediscono all’estero o ne favoriscono la partenza (come con il tunisino Ben Ali). Si è anche parlato di un esilio «interno», con il capo rinchiuso in una villa (stile Mubarak). A questo punto si apre un dialogo che porta a una transizione del potere. Un percorso che è solo un inizio e non una fine. Con molti dubbi. Gli oppositori non sono compatti. Quelli dell’Ovest, a cominciare dai berberi, possono vantare maggiori meriti. La misteriosa uccisione del generale Abdel Fattah Younis è la conferma di contrasti che possono spaccare i nemici del colonnello. Il cammino intrapreso quest’inverno a Bengasi è ancora lungo.


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