Bpm imbarca Arpe nell’aumento da un miliardo

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MILANO – Si delinea l’aumento di capitale di Banca popolare di Milano, che martedì sarà  discusso dal board. L’ammontare potrebbe essere ridotto rispetto agli iniziali 1,2 miliardi di euro, e forse ci sarà  qualche settimana in più per disegnare la cornice dei cambiamenti allo studio. Come il passaggio alla governance duale, e l’ingresso tra i soci (e probabilmente nel management) di Matteo Arpe, pronto a rilevare con la sua Sator 200 milioni di euro in nuovi titoli.
Il consiglio del 13, però, non dovrebbe partorire numeri e dettagli. Darà , piuttosto, un via informale, dopo l’aggiornamento sulla visita fatta dal presidente Massimo Ponzellini e il dg Enzo Chiesa ad Anna Maria Tarantola, vicedirettore generale di Bankitalia. La quale avrebbe mostrato scarsa flessibilità  ai milanesi, che speravano di posticipare a periodi meno turbolenti l’operazione, e di riavvicinarla ai 600 milioni inizialmente stabiliti. Ma la vigilanza, che dopo una dura ispezione impose un aumento doppio entro fine anno, e modifiche radicali al governo societario, mercoledì avrebbe concesso solo un piccolo “sconto” sulla cifra, che si dice potrebbe avvicinare il miliardo. E una dilazione solo tecnica, qualche giorno per attendere il prospetto Consob, imbastire il passaggio al duale, fare i numeri e imbarcare, contestualmente, Arpe.
La presenza del banchiere ex Capitalia – in settimana avrebbe a sua volta incontrato Tarantola – è preziosa per l’investimento, che sgraverà  il consorzio di parte dei rischi di inoptato «in un momento in cui il mercato non è molto profondo», dice eufemisticamente un banchiere vicino al dossier. Ma anche per l’esperienza manageriale e l’ascendente mostrato a Roma sugli investitori. «Un suo ruolo nell’operazione renderebbe meno difficile portarla a buon fine», dice il banchiere. Resta da vedere se Arpe si intenderà  con Ponzellini e Chiesa sui termini del suo sbarco in Piazza Meda; forse il doppio consiglio potrebbe creare poltrone adeguate a tutti e tre, oltre a diluire l’influenza dei sindacati interni – destinati al consiglio di sorveglianza – sulla gestione, che Arpe potrebbe guidare.
Bpm non è l’unica banca italiana che ha bisogno di nuovi fondi, almeno secondo il mercato. Un’altra è Unicredit, che stamani raduna le Fondazioni proprietarie del 15% per un confronto con il vertice della banca. È un’occasione asimmetrica e informale, difficile quindi prevedere decisioni, piuttosto l’avvio di ragionamenti su temi strategici come la redditività  e il patrimonio, che di lì a poco l’ad Federico Ghizzoni dovrà  declinare nel piano industriale (promesso a novembre-dicembre). Il piano potrebbe incorporare la ricapitalizzazione, i cui termini dipenderanno però dai vincoli regolamentari sugli organismi sistemici (Unicredit lo è), dal livello del titolo, dalla capacità  di valorizzare asset che rimpolpino il patrimonio. Diversi analisti ritengono che l’unica alternativa all’aumento sia la vendita di “gioielli” redditizi e del valore dai cinque miliardi in su. Come la turca Yapi Kredi o la polacca Pekao, che potrebbe interessare al Santander, fattosi avanti ieri per la rivale Kredyt Bank (Kbc).
In Borsa, dopo una seduta propizia, Unicredit ha guadagnato lo 0,54%, Bpm lo 0,83%. Meglio ha fatto la rivale francese Bnp Paribas (+1,8%), che ieri ha pubblicato un fitto documento sulla liquidità  da cui, come già  per SocGen, emerge la chiusura anticipata del funding 2011.


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