La rinascita dei cattolici

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L’ esigenza di aprire una fase rifondativa della politica italiana ha aumentato le attenzioni sul ruolo che potrebbero svolgere i cattolici nelle rappresentanze partitiche. Come sottolineato da molti degli autori che si sono alternati nel meritorio dibattito promosso dal «Corriere della Sera», questa fase non può prescindere dai valori e dalla radicata presenza dei cattolici nella nostra comunità  nazionale.

Sottolinea con grande efficacia Ernesto Galli della Loggia come la politica vada ripensata quale spazio per il perseguimento di valori e di modelli, ridimensionando la unidimensionalità  economicista, basata soprattutto sullo scambio tra voti e interessi, che ha caratterizzato l’azione delle rappresentanze e delle istituzioni nella fase dell’espansione della spesa pubblica. Ma, altrettanto, nel dibattito si avverte un diffuso scetticismo sulla possibilità  dei cattolici di ricostruire una rappresentanza politica che veicoli le loro aspirazioni.

Viene sottolineato come la diaspora del voto cattolico sia ormai un fatto consolidato, e come le condizioni storiche rendano improbabile la ricostruzione di orientamenti politici basati su appartenenze ideali. Soprattutto se queste aspirazioni vengono riproposte all’interno di un partito centrista superato dalla storia e incompatibile con i sistemi di alternanza che caratterizzano tutti i sistemi democratici dei Paesi sviluppati.

Lo scetticismo è basato su argomenti solidi. Ma lascia irrisolta una domanda: la palese contraddizione esistente tra la rilevanza sociale dei cattolici e la loro marginalità  politica fa bene alla democrazia italiana?

Per rispondere a questa domanda è necessario partire dalle ragioni che portano all’esaurimento della fase politica che definiamo come «seconda repubblica». Non sono certo gli scandali, corollario sintomatico della dissoluzione, a provocarlo. Sono le premesse, e le promesse, che hanno caratterizzato le rappresentanze politiche ad essere totalmente inadeguate nel dare risposte al bisogno di cambiamenti radicali che dovremo affrontare per un lungo periodo.

Nei retaggi della semplificazione del quadro politico, alla base del bipolarismo all’italiana, si stanno consumando le formule che hanno caratterizzato un’intera stagione politica: uno sviluppo garantito dalla funzione taumaturgica dell’abbassamento delle tasse e dell’avvento del federalismo, il ruolo salvifico per la democrazia attribuito alla magistratura e al conflitto sociale permanente. Una finta contrapposizione tra liberalismo e socialismo, che ha accomunato le forze in campo nel propagandare l’idea di una politica in grado di risolvere tutti i problemi, in coincidenza dell’evidente svilimento del ruolo degli Stati nel governo dell’economia globale. Magari con l’ausilio dell’ingegneria istituzionale che, a forza di inventarsi nuove leggi elettorali per rafforzare il ruolo dell’esecutivo, è riuscita persino a privare gli elettori del diritto di scegliere i loro rappresentanti in Parlamento.

Viceversa, abbiamo di fronte a noi l’esigenza di ripensare la nostra nazione in un mondo che non ci dà  più credito, di ridimensionare interi apparati pubblici e l’intermediazione della politica sulle risorse, di ridurre evasione, parassitismo, assistenzialismo. Di salvaguardare le uniche energie positive che generano sviluppo, risparmio, famiglia, impresa e lavoro. Dovremo far fronte, con poche risorse e facendo leva sulla cooperazione tra imprese e lavoratori, all’esigenza di attrarre nuovi investimenti e di incrementare la produttività .

La razionalizzazione dell’intervento pubblico non sarà  indolore e lascerà  scoperti i fabbisogni di intervento necessari a sostenere la mobilità  del lavoro di milioni di persone, l’assistenza agli anziani connessa all’invecchiamento, il lavoro di cura verso le famiglie con donne che lavorano. Senza sussidiarietà  e reti sociali, la coesione sociale subirà  gravi contraccolpi.

La nuova fase politica dovrà  essere necessariamente fondata sul ripensamento dei rapporti tra politica e società  civile. Dovrà  esaltare i valori dell’intraprendenza, della sobrietà , del sacrificio, della responsabilità  sociale delle proprie azioni, dell’appartenenza alla comunità . È la sintesi ben rappresentata dal recente messaggio del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana: ripensare comportamenti e stili di vita, rilanciare il protagonismo dei cattolici nella vita italiana.

Questo passaggio non può aggirare le critiche degli scettici. Esistono effettivamente nel mondo cattolico molte difficoltà  nel ricostruire una comune percezione del proprio ruolo politico. La diaspora sociopolitica è in atto da almeno quarant’anni ed è stata solo accelerata dalla dissoluzione della Democrazia cristiana. Questa dissoluzione ha prodotto un pluralismo rassegnato, contaminato dalle dinamiche del bipolarismo all’italiana, coincidente con l’emarginazione dei temi di grande interesse per i cattolici italiani, a partire dalle famiglie e dalla sussidiarietà . Solo in parte compensata dall’autorevolezza delle gerarchie ecclesiali, che hanno saputo porre un freno alle possibili derive legislative sui temi della bioetica. Una lacuna che da tre anni, a partire dall’appello di Papa Benedetto XVI a Cagliari, a fine 2008, le autorità  ecclesiali rimarcano, sollecitando i laici cattolici a riempirla, attraverso un rinnovato protagonismo nella politica italiana.

Nell’attuale situazione di sbandamento, un’iniziativa unitaria delle rappresentanze del mondo cattolico può riempire un vuoto pericoloso e offrire agli stessi partiti politici la possibilità  di ripensarsi in modo radicale. È questo l’obiettivo che si sono poste le organizzazioni che hanno dato vita al «Forum delle persone e delle associazioni di ispirazione cattolica nel mondo del lavoro» (Cisl, Confartigianato, Compagnia delle Opera, Mcl, Confcooperative, Acli, Coldiretti), nato nel 2009 con l’intento di ricostruire un’alleanza in grado di incidere nei cambiamenti politico-sociali.

Il 19 luglio scorso è stato presentato alla stampa il manifesto «La buona politica per il bene comune», come contributo alla definizione dei contenuti e delle modalità  che possono caratterizzare l’impegno politico-sociale dei cattolici. Il 17 ottobre, sui contenuti del manifesto, sarà  organizzato un seminario coinvolgendo personalità  del mondo accademico, delle fondazioni culturali e bancarie, dell’associazionismo cattolico di rilevanza nazionale.

All’orizzonte non c’è la prospettiva del partito dei cattolici, ma l’esigenza di ricercare laicamente nuove modalità  per incidere nella formazione di nuovi equilibri delle rappresentanze con altre espressioni culturali e politiche della società  italiana. Questo di per se è già  un fatto nuovo nel panorama politico.

Il percorso non sarà  affatto semplice e gli argomenti degli scettici possono rilevarsi fondati. Ma evitiamo di leggerlo con le categorie del passato. Tutti coloro che hanno a cuore i destini della nostra democrazia dovrebbero augurarsi che produca buoni frutti.


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