Internet, i provider dal giudice “Fermare l’oscuramento dei siti”

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ROMA – È cominciata la rivolta dei provider italiani in nome della libertà  di Internet, contro l’oscuramento dei siti web. Si è celebrata a Padova la prima udienza del procedimento con cui i provider – cioè i soggetti che ci permettono di navigare – si oppongono all’ordine, di un magistrato, di oscurare siti. I provider dicono di no al filtro che li ha resi inaccessibili.
Attraverso le associazioni Aiip e Assoprovider, i provider si sono rivolti al Tribunale della Libertà  di Padova (sezione del Riesame) per annullare un provvedimento di qualche giorno prima. Quello stesso Tribunale aveva ordinato loro di oscurare 493 siti, su denuncia della multinazionale della moda Moncler, nell’ambito di una campagna contro la vendita di prodotti contraffatti. Solo alcuni tra questi siti vendono merce falsa; altri sono vuoti o inattivi. La loro unica colpa è che nel nome del sito c’è la parola Moncler (esempi, “ILoveMoncler” o “Moncler Fans”). Per i provider questo aspetto del provvedimento è stata l’ultima goccia. «Se passa l’idea che basta il nome di un’azienda nell’indirizzo del sito per farlo oscurare, allora è il tramonto della libertà  d’espressione», spiega Fulvio Sarzana, avvocato dei provider ed esperto di questi temi. «E’ la premessa alla censura, in massa, di siti che contengono opinioni sgradite ad aziende o politici», aggiunge.
I provider agiscono anche per interessi economici: devono impiegare risorse per bloccare siti. E ormai il fenomeno si fa consistente: «Al momento sono circa 6 mila i siti inaccessibili agli utenti italiani, perché oscurati», dice Paolo Nuti, presidente di Aiip. Il dettaglio: circa 900 sono oscurati per i reati di pedopornografia; 3.500 sono siti clandestini di giochi e scommesse. I restanti 1.500 sono quelli accusati di violare il diritto d’autore, di contraffazione o di diffamazione, «reati per cui applicare l’oscuramento è una forzatura», dice Sarzana.
Ma i tribunali forzano eccome, sfruttando una sentenza della Cassazione che ha autorizzato, nel 2008, in Italia il sequestro preventivo di “The Pirate Bay”, noto sito svedese che permette di trovare file pirata (e non). Sono sequestri preventivi perché avvengono prima dell’effettiva sentenza di condanna, per evitare la reiterazione dell’eventuale reato. I provider mirano a invertire la direzione che la giurisprudenza ha preso dopo quella sentenza della Cassazione. Ma è un campo dove si battono forti interessi contrapposti. Da una parte le aziende del web (non solo i provider ma anche soggetti come Google) e dall’altra i detentori di marchi e di diritti d’autore. Questi ultimi premono da tempo per avere norme che facilitino i blocchi rapidi di siti illeciti. Una svolta potrebbe arrivare a fine mese, quando Agcom (Autorità  garante delle comunicazioni) ultimerà  la delibera che riforma la tutela del copyright online. Agcom al momento è pressata, da opposte fazioni, anche su un altro fronte: quello dei prezzi di terminazione mobile. Oggi affronterà  il primo round di discussione in merito, per stabilire i futuri prezzi. Alcuni (come Vodafone) si oppongono alla loro riduzione, richiesta invece dalla Commissione europea e da Altroconsumo.


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