Il sesso sotto il velo: gli amori segreti delle musulmane cresciute in America

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San Valentino non figura tra i profeti dell’Islam ma Nura Maznavi e Ayesha Mattu hanno scelto proprio il 14 febbraio per fare strage dei pregiudizi che circondano le musulmane e il sesso con un libro.
Prendete la storia di Najva Sol. Aveva 15 anni la prima volta che fece sesso scoprendo quel mondo che i genitori le avevano oscurato. Ogni divieto produce una reazione opposta e Najva naufragò in un mare di sesso, alcol e bugie. Finché non andò al college, cominciò a studiare, prese coscienza, s’innamorò della letteratura e cominciò a sperimentare con la scrittura. E qualcos’altro: tuffandosi in una tumultuosa relazione con la sua compagna di stanza. Aveva 21 anni quando prese il coraggio di affrontare quei genitori, iraniani immigrati, che non avrebbero certamente trovato il coraggio di perdonarla. E invece, ricorda Najva, che per quella confessione aveva scelto il campo neutro di un chiassoso caffè, quelli sapevano già  tutto: o quantomeno sospettavano. Per la sorpresa, stavolta, della ragazza: «Droghe, ubriacature, sesso tra ragazzi e ragazze: magari sarà  normale per gli standard dell’America che guarda Mtv – racconta la ragazza al Washington Post – ma non per una famiglia iraniana che non aveva voluto neppure mettere la tv nel salotto».
Se c’è una parola che unisce le 25 storie raccolte, come quella di Najva, in questo Love, InshAllah, cioè “L’amore, grazie a Dio”, forse è proprio contraddizione. Venti storie su 25 sono raccontate con tanto di nome e cognome vero: un atto di coraggio. Le cronache di questi giorni sono ancora piene dei riflessi di un fattaccio d’oltrefrontiera, le figlie e la moglie trucidate in Canada, con l’aiuto del figlio maschio, da un immigrato afgano che non tollerava che le ragazze vedessero gli amici occidentali: un caso-Hina, la povera pachistana trucidata a Brescia, anche al qua dell’Atlantico. 
«In America la parola musulmano porta subito in mente politica e sicurezza nazionale», ricorda Ayesha Mattu, che lavora nei diritti umani. «Con questo libro volevamo far capire che sotto il burqa c’è di più». Dice l’altra curatrice, Nura Maznavi, anche lei avvocato specializzata nei diritti civili: «Le donne musulmane vengono viste o come danzatrici del ventre, ridotte a corpi sotto controllo celate dietro alle vesti neri, senza desideri, tantomeno di sesso. La verità  è che come tutte le donne anche noi soffriamo per amore». Un cammino contorto come quello di tutte le ragazze e i ragazzi di ogni latitudine. Di fronte ai divieti del papà  iraniano l’irrequieta Najva fu sorpresa quattordicenne davanti al computer a compulsare siti porno: «Ma io ero solo curiosa di vedere come siamo fatti».
Love, InshAllah racconta finalmente quello che le donne (islamiche) non dicono. Ed è solo l’ultimo arrivato in una sfilza di libri che negli ultimi anni hanno contribuito a sollevare appunto il velo sui pregiudizi, nostri e loro, su Islam e sesso: dallo scandaloso La mandorla, il romanzo che sotto il nome d’arte di Nedjma fu identificato come “I racconti della vagina” musulmani, fino a quell’American Dervish con cui Ayad Akhtar racconta oggi l’educazione sentimentale di un musulmano (e di riflesso varie musulmane) cresciuto negli Usa. Ma quelli sono romanzi. La raccolta di Nura e Ayesha è invece piena di storie vere. Anche se per il nostro pregiudizio incredibili. Quando Najva trovò il coraggio di raccontare ai genitori che cosa aveva combinato sessualmente, concluse col cuore in mano: posso continuare a essere per voi una brava figlia, una brava persona e una brava lesbica? E i genitori più severi del mondo – per Amore, grazie a Dio – risposero di sì.


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