La femminista e la violenza

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“Violenza giusta”: ma non è dissennato riproporla oggi? Nella redazione di Via Dogana devono averci pensato un po’ prima di dare alle stampe il centesimo numero, che non passerà  inosservato. La storica rivista della Libreria delle donne di Milano s’apre infatti con una sorprendente riflessione di Luisa Muraro Al limite, la violenza, che non è certo un inno alla violenza ma non la «esclude a priori». Un’apertura a «un uso della forza» adeguato alla violenza che è nelle cose e nei rapporti tra le persone. Esisterebbe in sostanza una «violenza giusta», distinta da quella «stupida» e «controproducente». E sarebbe sbagliato «separare la violenza dalla forza» perché «lo sconfinamento tra una e l’altra è inevitabile». Accanto alla citazione de L’Iliade poema della forza di Simone Weil, ecco l’improvvido elogio della sassaiola contro i cattivi politici. Bisognava «mandarlo indietro a fischi e sassate, come si meritava, come si usava una volta, come chiedevano i loro morti, quelli uccisi dal crollo di edifici pubblici taroccati», scrive Muraro rievocando la passerella di Berlusconi all’Aquila dopo il terremoto. “A fischi e sassate”, proprio così dice l’autrice.
Ma che succede nello storico laboratorio del pensiero della differenza, di cui Muraro è indiscussa e mite sacerdotessa? Non erano state proprio loro, le femministe della Libreria delle donne, a liquidare negli anni Settanta la violenza come rispecchiamento di bellicose logiche maschili? E dopo gli esiti luttuosi di quella stagione, non è sbagliato e pericoloso rilanciare ora una riflessione sulla «violenza giusta»? Al momento Muraro non parla. Il suo articolo di Via Dogana è l’anticipazione di un saggio che sarà  pubblicato a giugno da nottetempo – Dio è violent… – e l’autrice preferisce aspettare l’uscita del libro. Per capirne di più, bisogna risalire all’estate scorsa, all’epoca dei disordini nella Val Susa, quando sul sito della Libreria compare una voce femminile che invita “a rompere un tabù”, il silenzio sulla «violenza nella realtà  e nel discorso della politica». Muraro condivide: «È un tema urgente, bisognoso di una nuova e spregiudicata riflessione», dove spregiudicata significa «pensarci senza dire automaticamente no alla violenza». E ancora: «Bisogna cominciare a fare la differenza tra la violenza stupida e quella che tale non è, di cui abbiamo smesso di pensare e di parlare, dimenticando che l’agire umano non si dà  senza questa componente». Violenza stupida? Violenza intelligente? 
A sette mesi da quella riflessione, ecco il nuovo articolo su Via Dogana, in un numero dedicato alla “forza necessaria”. «C’è una violenza nelle cose e tra i viventi che prelude a un ritorno alla legge del più forte: dobbiamo pensarci», invoca Muraro. Alla propria forza non si deve rinunciare, «si tratterà  dunque di dosarla senza perderla». Ma come? La studiosa rifiuta il confine indicato dalla «predicazione antiviolenza», ossia quello che distingue forza e violenza. «No, lo sconfinamento è inevitabile». E allora? E allora «la misura da cercare» è in «una violenza giusta» misurata non sul diritto ma sulle circostanze storiche. Due gli esempi indicati nel breve scritto. Il primo risale agli eccidi di Srebrenica, che potevano essere evitati dai militari dell’Onu, «incapaci di percepire il mostro dell’odio davanti ai loro occhi». Il secondo è invece preso dalle storie di casa nostra, quando «era nelle possibilità  degli abitanti dell’Aquila impedire al capo del governo di fare della loro sventurata città  la cornice massmediatica per la sua autopromozione». Della contundente soluzione suggerita da Muraro abbiamo già  detto: sarebbe questa la violenza “intelligente”?
«Muraro ha ragione, c’è una violenza stupida. Quello che però non riesco a concepire è la sassata intelligente, o la carica di polizia intelligente». Anna Bravo, storica dell’età  contemporanea sensibile ai temi delle donne e della nonviolenza, appare piuttosto sorpresa. «Se Zizek sostiene che il pacifismo è facilmente assimilabile non mi turba molto. Muraro invece mi inquieta, perché è lei, e perché donna. Per noi donne, che abbiamo alle spalle una storia millenaria di disobbedienza e di manipolazione delle norme, è più semplice capire non solo che legge e giustizia sono due cose diverse, ma che si può agire di conseguenza senza inabissarsi nella distruttività . Per di più, il crescere della violenza e la militarizzazione dei movimenti – sia nella Resistenza che negli anni Settanta – ha sempre tolto respiro alle iniziative delle donne». 
Nel suo bel saggio sul Sessantotto A colpi di cuore – titolo di per sé espressivo – Bravo rievoca il disagio delle donne di Lotta Continua quando portavano le molotov nel tascapane. La legittimità  della violenza, annota la studiosa, è un tema estraneo alla tradizione femminista. E neppure nella letteratura di guerra e della resistenza l’argomento è centrale. «L’Italia è stata definita la patria del femminismo più forte e violento ma non è vero», dice ora Bravo. «Certo, i gruppi potevano risentire del clima di allora. C’era una pressione politica molto forte ed era acquisito il principio che si potessero fare cose illegali. Ma molte ragazze di Lotta Continua contestavano il servizio d’ordine e avevano paura di trovarsi in mezzo ai cortei più caldi. E quando Lc si sciolse, soprattutto per opera delle femministe, fu anche per una diversità  di vedute sulla violenza».
Violenza legittima, uso della forza. Il pensiero corre a Carla Lonzi, la femminista che tra le prime liquidò la violenza dell’inconscio maschile, «ricettacolo di sangue e paura». La discussione sembra ora aperta all’interno della stessa Via Dogana, che ospita voci contrastanti. «Alla sollecitazione della Muraro», scrive Annarosa Buttarelli, «fa obiezione la scelta storica di gran parte delle donne di lottare in modo non violento. La scelta di segno femminile è di custodire l’integrità  dei corpi e dei luoghi». E Lia Cigarini chiude: «Schivare lo scontro guerresco è segno di forza, non di debolezza». Al gioco del più forte, insiste ora Bravo, noi perdiamo sempre. «L’invito di Muraro a ripensare il nostro rapporto con la violenza si lega al giudizio sul presente, che prefigurerebbe un ritorno alla legge del più forte. Ammettiamo che sia così: ma spostarsi su questo livello di scontro, questo sì mi sembra un passo in sintonia con uno spirito militare. Voi usate la vostra forza? Noi siamo in grado di tenervi testa con la nostra. Mentre la potenza dell’oppositore nonviolento sta proprio nel sottrarsi a questo meccanismo». Un meccanismo, conclude la studiosa, che ha portato tanti movimenti alla sconfitta. Sconcertante, davvero, riconsiderarlo oggi.


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