Riunioni e contatti informali anche nella notte

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A voce o de visu, nel tentativo non di «trovare la quadra», ma di far ingurgitare a Cgil, Cisl e Uil un quadro normativo in cui il sindacato – letteralmente – corre il rischio di annegare.
Camusso, Angeletti e Bonanni non sono riuciti a mettersi d’accordo nemmeno sull’art. 18. La cui sostanziale abolizione è pretesa dal «governo dei mercati» come simbolo certo che in Italia i sindacati sono stati «spianati». Camusso si era detta «disponibile» – fuori dal mandato conferito dall’ultimo Direttivo – a discutere di lasciare al giudice la scelta tra «indennizzo» e reintegra in caso di licenziamenti «per motivi economici». Senza toccare le norme su quelli« disciplinari» o discriminatori». Un cedimento che, comunque, non basta al governo (indennizzo in tutti i casi). E nemmeno alla Cisl, rimasta isolata anche dalla Uil. 
A quel punto deve essere apparso chiaro che il «valore aggiunto» garantito dal consenso sindacale a una «riforma» di portata anti-storica rischiava di venir meno. Sono quindi partiti i messaggeri per concordare una nuova «riunione informalmente formale» tra i tre segretari e il ministro Fornero. Alle 20, provavano ad ipotizzare in molti, ma nessuna conferma è arrivata fino a tarda sera. Impensabile, però, che tutti si presentino oggi pomeriggio al «tavolo» senza aver acquisito una ragionevole certezza sul «sì» o «no» da pronunciare davanti a Mario Monti. 
Sulla discussione interveniva ancora una volta a piedi uniti il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il quale ha ricevuto al Quirinale proprio Monti e Fornero, per concludere infine con un pesantissimo «penso che sarebbe grave la mancanza di un accordo al quale le parti sociali devono dare solidalmente il loro contributo». Difficilmente si era visto qualcosa di simile, da un Colle solitamente prodigo di consigli, ma con molta discrezione. Il livello di pressione non poteva essere più forte. Ed è risuonata profetica la frase con cui Maurizio Landini, nel frattempo, spiegava a tutta la Fiom che «non esistono ragioni politiche che giustifichino la cancellazione dell’art. 18». Per qualcun altro, invece, esistono probabilmente soltanto quelle.
Lo scenario sembra ormai predisposto. L’eventuale «no» del più grande o di tutti e tre i sindacati non è neppure preso in considerazione. Ma il testo finale risentirà  probabilmente – sia pure in misura limitatissima, quel tanto che basti a far dire «poteva andare peggio» – del tipo di risposta. 
I sindacati, in questi primi quattro mesi di «governo tecnico», sono sembrati visibilmente spiazzati da un interlocutore estraneo ai tira-e-molla senza confini chiari, tipici della politica anche al tempo del Cavaliere. Sono venuti per fare quel che c’era scritto nella lettera della Bce, spedita in agosto. E non trattano su nulla. Si pongono soltanto il problema di riscuotere un sufficiente consenso momentaneo. E usano argomenti preistorici come se fossero roba nuova. 
Il ritornello è quello della «responsabilità  verso il paese», di cui i lavoratori – per il tramite di un sindacato spezzato – dovrebbero farsi carico. E risulta addirittura provocatoria, da questo punto di vista, la giustificazione data dallo stesso Monti rispetto «al diritto della Fiat di investire dove meglio crede». Perché se la «responsabilità  nazionale» è sentimento che si può nutrire in modo così asimmetrico – i dipendenti devono dare tutto «al paese», le imprese nulla – probabilmente è solo una formula retorica buona per prendere in giro la gente. Tramite i media.


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