Articolo 18, oggi l’esame del governo

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ROMA — Mario Monti è rientrato in Italia più che soddisfatto per l’esito del «roadshow» in Oriente e determinato a mantenere la promessa, fatta agli investitori cinesi e giapponesi, di un mercato del lavoro più flessibile e più appetibile. L’ultima parola sul testo di una riforma per certi versi storica, che era stato approvato «salvo intese» dieci giorni fa, spetta al capo del governo. Già  stamattina il professore sarà  al lavoro a Palazzo Chigi con Elsa Fornero e Corrado Passera per gli ultimi ritocchi all’articolato definitivo del testo, che ha diviso la maggioranza e portato in piazza i lavoratori. Dopodiché, non resta che la firma di Giorgio Napolitano.
Alle 9,30 Monti aprirà  il Consiglio dei ministri. Sarà  una riunione lampo, incentrata su alcune leggi regionali e il disegno di legge che rivoluziona il mercato del lavoro non è, ufficialmente, all’ordine del giorno. Ma Monti vuole chiudere la partita prima di Pasqua e a Palazzo Chigi c’è fiducia riguardo alla possibilità  che il ddl approdi in Parlamento nelle prossime ore.
I leader dei partiti che sostengono il governo spingono per un nuovo vertice con il premier prima che il provvedimento sia depositato. A parte le quotidiane scaramucce polemiche, la tensione si è allentata e l’intesa sembra davvero vicina. Lo conferma l’ottimismo di Giorgio Napolitano, che invita ad accelerare e difende la riforma perché «aiuta la crescita». Adesso anche Pier Luigi Bersani sembra disposto a «crederci». Il leader del Pd dice che basta un pizzico di «equilibrio» per approvare la riforma prima del voto amministrativo di maggio, a patto però che l’articolo 18 sia modificato in salsa tedesca. Pier Ferdinando Casini concorda sulla tempistica, ma sul reintegro nei licenziamenti economici ricorda che «sarà  Monti a decidere». E se il premier dovesse «incaponirsi»? Se tenesse duro sul punto cruciale dello Statuto dei lavoratori? Bersani — che al Pdl concede la disponibilità  a trattare sulla flessibilità  in ingresso — si rifiuta di prendere in considerazione una simile eventualità . Usa toni concilianti, ma al tempo stesso semina avvertimenti: «Non possiamo accendere fuochi inutili in un momento così difficile, il cammino si riprende tutti assieme». Bersani ha già  ingoiato il rospo delle pensioni e non vuole ingoiarne altri. Il suo obiettivo, adesso, è un emendamento che abbia il via libera dei partiti e del governo.
Il problema è che il presidente del Consiglio non ha mai dato, nei giorni della missione tra Cina e Giappone, alcun segno di frenata o di ripensamento. «Non ci saranno rinvii e non sono previste modifiche» è il leitmotiv che trapela dal ministero del Welfare. Forti dell’incoraggiamento di Napolitano ad andare avanti, Monti e Fornero non intendono toccare i punti cardine della riforma. Premier e ministro sono rimasti in continuo contatto e di concerto hanno lavorato ai passaggi più delicati, limando le asprezze e trasformando in precetti la promessa di Monti di «evitare ogni tipo di abuso». Ma Bersani è fiducioso, confida nella possibilità  che da Palazzo Chigi giungano parole di apertura riguardo a un accordo da ricercarsi in Parlamento. Lo stesso premier, nei contatti transoceanici di questi giorni, non avrebbe escluso alcuni «limitati» cambiamenti in Aula. «Ragionando e approfondendo un’intesa è possibile», stempera il clima Bersani e sprona il governo (e il Pdl) ad ascoltare la Chiesa, l’opinione pubblica e anche i «tanti imprenditori che chiedono di risolvere il problema centrale». All’appello del segretario del Pd risponde il leader del Pdl: «Fare insieme la riforma del lavoro è meglio che farla separati…». Ma il tema, per Angelino Alfano, è «cosa si fa se la Cgil dice no». Pronta la replica di Bersani: «Noi siamo un grande partito, più grande di quello di Alfano. E ragioniamo con la nostra testa».


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