Uomini e Cani L’idealismo applicato ai cuccioli

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Ma a me, hic et nunc, in questa primavera così romantica, e anzi panica, sotto una macchia di alberi del parco Ferrari di Modena, delle donne donne non interessa niente; voglio sapere e conoscere tutto della mia femmina cane, bella e misteriosa, orgogliosa e altera, piccola e già  gigantesca, che mi guarda con la lingua fuori per dire: non sarebbe il caso di andare? 
Già , perché Liù conferma esattamente ciò che prometteva di essere allorché si diresse con il suo orgoglio femminile a coda alzata, la sua bellissima e già  spettacolare coda da lontra, verso le braccia di Marzia, là  nell’allevamento di Cermenate. Una personalità  intelligente? Questo va da sé. Ma soprattutto una personalità  prepotente. Esigente. Ricattatoria. Impaziente. Amante di coccole e carezze da rotocalco, ma forse più amica ancora di sfrenatezze atletiche, di salti che sono sconsigliatissimi ai cuccioli, di frenate in scivolata con gli unghioli su un parquet che non avrebbe mai immaginato tante sofferenze, di spettacolari scuotimenti di orecchie, di frenesie e abbai, tappeti per aria ed evoluzioni in retromarcia, non appena suona il campanello di sotto, preludio di chissà  quali meravigliosi arrivi, anticipazione di meravigliose configurazioni di quella cosa entusiasmante che per un labrador è il genere umano! 
Bamboleggio, come si vede, ma per una ragione seria. innanzitutto per uscire dal gergo degli etologi e degli addestratori, i quali a proposito del mondo dei cani e del loro stile di vita – ma stile di vita non lo dicono gli arredatori? – parlano di personalità  dominante da soggiogare e di leadership da spegnere. Sì, ma se poi gli crolla l’autostima? Alla larga, alla larga dalle riviste di glamour. 
A essere padroni perfetti noi ci abbiamo provato, come tutti gli scemi di buona volontà , con tanto di bravissimo addestratore, lezione teorica in casa e lezioni pratiche on the field. 
Dunque, ecco i criteri fondamentali. Astratti, naturalmente. Idealismo tedesco puro mischiato con residui cartesiani, più la concezione leibniziana che qui si vive nel migliore dei mondi possibili, cane compreso. Nel branco ideale, cioè nella fenomenologia dello spirito del branco, il cane è l’ultima ruota della storia, l’ultimo esemplare di una catena di servi. Deve mangiare per ultimo. Deve frequentare soltanto i luoghi che gli sono concessi (all’occorrenza scoraggiarlo con dei “no” perentori e facce terrorizzanti). Mai potrà  salire in posizioni sopraelevate rispetto agli umani, guai su divani e letti. Quando uno di noi rientra in casa, non deve assolutamente fare il minimo gesto di attenzione o di simpatia nei suoi riguardi, né un sorriso né una smanceria. Vietato tutto. Il cane va semplicemente ignorato, come fa il lupo alfa, che a ogni ritorno disprezza tutti, femmine e cuccioli, si guarda bene dal fare il minimo gesto di confidenza, e solo dopo qualche minuto, quando ha verificato ritualmente il suo territorio e controllato lo status delle relazioni interne al branco, può accennare di malavoglia a un buffetto o a un rapido gioco con un cucciolo, o a una zampatina più o meno affettuosa a una femmina. 
Al cane, ammonisce l’istruttore, non si parla. Mentre voi, spiega con tutta la sua professionalità , brutte cacchine, siete innamorati del cane, e questo non va bene. Lo adorate mentre mangia, mentre beve. Ma beve con grande eleganza, protesto io. Non importa, il cane deve captare il silenzio, e più che il silenzio perfino l’indifferenza, degli esseri a lui superiori come l’incombere di un potere sovrano e inesorabile, una forza mentale senza accessi. È una dimensione oscuramente più vicina al sacro che non alla trasparenza della fisica e della natura. in questo modo i suoi sensi si affinano, i suoi nervi si tendono, diventa disponibile a rispondere ai comandi, obbedisce a uno sguardo, è una macchina di muscoletti e tendini pronta a scattare a ogni desiderio del padrone, o della padroncina, due occhi neri che ti seguono infallibili…
Questo spettacolino di freddezza calcolatissima dura circa un giorno e mezzo, fra sofferenze esistenziali inspiegabili agli estranei. Ignorate il cane, si intima agli amici che vengono in visita a vedere il labrador, fate finta di niente. Il cane non esiste, si assevera con la certezza di un ateo ottocentesco che parla di Dio. Una tortura. Un giorno e mezzo. Il tempo di vedere mia suocera Wanda, entità  assai poco scientifica, che, indifferente a qualsiasi prescrizione etologica e lorenziana, abbraccia Liù e strilla: «Questa è la reginetta della casa!». Mezza frittata fatta. Mio suocero Vittorio che le dà  di nascosto i bocconcini. E infine Marzia, l’educatrice perfetta, che rovescia la bestiolina per terra, le afferra le orecchie, le scuote la pancia, le strofina le tettine, le tira la coda, e di fronte alla mia occhiata indignata per leso protocollo canino, lancia verso di me uno sguardo di sbieco e sibila: «E sia ben chiaro che il cane è mio e ci faccio quello che mi pare». 
Per poi aggiungere, come trasgressione finale, che del rigore dell’addestramento non gliene importa nulla.
Se no, ringhia, che cosa lo prendevo a fare, un cane.


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