La politica del Fantasy

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 Entro l’anno, sul grande schermo, Peter Jackson, con Lo hobbit, rinnoverà  la magia di Tolkien e del Signore degli anelli. Il successo è probabile, ma si può dire fin d’ora che si tratta di un’operazione un po’ rétro. Non capita spesso che un genere letterario, soprattutto nella letteratura popolare, rovesci completamente paradigma, ma questo, in un genere di crescente successo, come il fantasy, è appena avvenuto. Per rendersene conto, basta andare sul piccolo schermo, dove Sky sta mandando in onda la seconda serie del Trono di spade, l’interminabile epopea inventata e alimentata (per scrivere “creata”, bisognerebbe averne una conclusione, tuttora non in vista) da George R. R. Martin. «I Sopranos della Terra di Mezzo» ha definito il Trono David Benioff, che della serie tv è il produttore. Anche di più, in realtà . Perché il successo di Martin manda segnali culturali e politici di cui, in America, si sono accorti presto: il dibattito infuria, dai blog dei fan a riviste autorevoli come The American Prospect e Foreign Policy. E anche una rivista seriosa e importante come Foreign Affairs, abitualmente occupata da discussioni sulla politica nucleare di Teheran o sul futuro dell’euro, ha dedicato all’opera di Martin non uno, ma due articoli: il primo sul Trono come storia, il secondo come teoria politica. Perché qui non è questione di nani e orchi, piuttosto che damigelle e scudieri. La trilogia di Jackson ha scandito gli anni del dopo 11 settembre, la serie di Martin riflette l’amarezza per le bugie e gli inganni della “guerra al terrore”. Tre anni fa, uno dei maggiori periodici conservatori americani, assegnava alla trilogia del Signore degli anelli il posto numero 11 nella classifica dei migliori film di destra degli ultimi 25 anni. Oggi, su American Prospect, Adam Serwer definisce il Trono di spade «una guida di sinistra alla Terra di Mezzo».
Ricondurre Tolkien ad una ideologia di destra – in Italia, addirittura neofascista – è un’operazione mistificatoria. Il creatore degli hobbit, in fondo, aveva di fronte non Bin Laden, ma Hitler e il vero eroe della storia non è Aragorn con una spada invincibile in mano, ma un mezz’uomo come Frodo, incapace di maneggiare uno spadino, che trema di paura dall’inizio alla fine, sogna il ritorno alle feste campestri e trova il suo eroismo solo nella forza interiore. Ma è vero che il mondo di Tolkien è dipinto solo di bianco e nero, racchiuso – come la narrativa di Bush nella “guerra al terrore” – nell’epico scontro del bene contro il male, mentre Martin, nota Serwer, mostra che «le guerre più gloriose hanno seguiti squallidi e, con il tempo, si scopre che non sono state tanto gloriose dopo tutto». Del resto, basta un’occhiata ai personaggi: «I mostri di Tolkien – dice ancora Serwer – sono letteralmente mostri: i suoi orchi, uruk-hai, balrog non hanno un genuino libero arbitrio, per non dire il potenziale per una redenzione morale individuale. I mostri di Martin sono, quasi sempre, persone e, proprio quando avete deciso di odiarle, lui scrive un capitolo dalla loro prospettiva, costringendovi a tener conto del loro punto di vista». In due parole, nel Signore degli anelli è facile tifare per i buoni, mentre nel Trono di spade i buoni, per lo più, è difficile trovarli.
Il mondo morale di Tolkien, infatti, è semplice: dall’inizio alla fine, ogni personaggio segue la propria natura, buona o cattiva che sia. In Martin, tutto è in movimento: «I forti si ritrovano invalidi – scrive su Foreign Affairs Charli Carpenter, professore di scienza politica – principi diventano schiavi, nobildonne si ritrovano garzoni di stalla, bastardi si elevano a condottieri». Contemporaneamente, «le persone con le migliori intenzioni – ancora Serwer – possono essere schiacciate da obblighi morali in conflitto e da impulsi sociali divergenti, mentre quelli di dubbia fibra morale possono trovare potere e legittimazione, sfruttando abilmente le regole della società ». Tuttavia, non basterebbe questo riconoscimento della complessità  dell’animo umano e delle sue storie a dare a Martin un’etichetta di sinistra. Ciò che conta è che il realismo del Trono di spade non si esaurisce nel cinismo o, se volete, nel qualunquismo. Condottieri ed eroi vengono sistematicamente demitizzati, ma, osserva Carpenter, il punto è che, nel mondo di Martin, «i leader tradiscono le norme etiche, i bisogni del loro popolo e il mondo naturale a loro rischio e pericolo». Ancora: «la giostra del potere da parte di attori che badano solo al proprio interesse produce non un equilibrio stabile, ma il caos; il ricorso all’imbroglio e il perseguimento di obiettivi di corto respiro distrae i giocatori dai temi veramente importanti della sopravvivenza dell’umanità  e della stabilità ». Secondo Carpenter, «la vera morale della storia è che, quando le buone regole vengono tradite, quello che segue è disordine e rovina». Per evocare Tucidide, ciò che il potere ottiene senza giustizia non dura.
«L’inverno sta arrivando» è, oltre al logo della serie tv, anche il ritornello che punteggia i libri della serie di Martin. Va inteso, sottolinea Carpenter, non solo metaforicamente, ma anche in senso letterale. Perché l’analisi del potere che fa Martin, non si esaurisce nei rapporti fra gli uomini ma tocca anche il rapporto con la natura. La storia del Muro Settentrionale e delle forze oscure che tiene a bada, secondo Carpenter, segnala, in realtà , «l’errata convinzione che la civiltà  industriale possa reggere contro le mutevoli forze della natura». Bisogna cambiare e accettare il cambiamento: il messaggio di Martin, dice Carpenter, è che, se le strutture di governo esistenti non possono gestire le minacce globali che emergono, c’è da aspettarsi che si evolvano o crollino.
Ecologia, giustizia sociale, responsabilità  politica. Eppure, ciò che allontana definitivamente Martin dalla retorica della “guerra al terrore”, del manicheismo dei buoni contro i cattivi, dell’integrità  indefettibile è forse più un tratto psicologico, che rivela la ineludibile fragilità  dell’animo umano. Prendete la confessione di Jaime, guerriero bello e invincibile, quanto capace di macchiarsi praticamente di qualsiasi peccato, incesto incluso: «Così tanti voti…. ti fanno giurare e giurare. Difendi il re. Obbedisci al re. Conserva i suoi segreti. Fai quello che ti chiede. La tua vita per la sua. Ma obbedisci a tuo padre. Ama tua sorella. Proteggi l’innocente. Difendi il debole. Rispetta gli dei. Obbedisci alle leggi. È troppo. Non importa cosa tu faccia, stai tradendo un voto oppure un altro».


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