Peter Cameron L’incontro

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Èin un piccolo appartamento bohémien sulla Decima strada, nel cuore dell’East Village, che Peter Cameron vive con Dinah e Ghita, i suoi due inseparabili cani d’acqua portoghesi. È lì che abita da trent’anni, da quando ventitreenne decise di lasciare il New Jersey e la famiglia catturato dal fascino delle mille luci di New York. Ed è lì che conduce un’esistenza per sua stessa definizione «stanziale e solitaria», scandita dalla scrittura di racconti e romanzi, l’ultimo dei quali, Coral Glynn, mercoledì sarà  in libreria per Adelphi (traduzione di Giuseppina Oneto). Occhi acuti e penetranti, sorriso timido e gentile, modi educati, un imbarazzo palpabile a parlare di sé, Cameron (che parteciperà  il 29 maggio al Festival delle letterature di Roma) somiglia a molti dei personaggi schivi e riservati ritratti nei romanzi che lo hanno reso celebre: come Omar, l’ingenuo sognatore di Quella sera dorata, o James, ragazzo malinconico e solitario, appassionato di arte e libri in Un giorno questo dolore ti sarà  utile, o la stessa insondabile Coral Glynn, una donna giovane e insicura, incapace di esprimere sentimenti complessi e contraddittori come l’amore.
«In tutti i personaggi di cui scrivo c’è qualcosa di me», racconta Cameron mentre sorseggia un tè seduto sul divano di casa, circondato dai cani. «Ma solo dal punto di vista emotivo. I sentimenti che turbano James o Coral Glynn sono simili a quelli che provo io. Il loro mondo interiore non corrisponde a come appaiono dal di fuori. Spesso sono frustrati perché non riescono a esprimere se stessi e a dire la verità . I silenzi, le cose non dette, sono più importanti di quelle dichiarate. Ma sarebbe sbagliato identificarmi del tutto con i miei personaggi. Per certi versi loro sono molto diversi da me». Con Coral Glynn, Cameron mette per la prima volta in scena una protagonista donna. «Non l’ho trovato difficile. Credo che non ci sia differenza fra uomini e donne. Non penso più in termini di genere, siamo tutti persone. E lei è forse il personaggio più ottimista che ho creato perché alla fine del romanzo riesce a superare il blocco interiore e, per la prima volta, a fare una scelta di vita».
Considerato alla stregua di un “classico” per la prosa limpida, elegante e senza tempo, per i dialoghi brillanti e per la profondità  emotiva dei personaggi, conosciuto anche per i film tratti dai suoi libri (The Weekend di Brian Skeet con Gena Rowlands e Brooke Shields, Quella sera dorata di James Ivory con Charlotte Gainsbourg e Anthony Hopkins e il recente Un giorno questo dolore ti sarà  utile di Roberto Faenza), Cameron ammette che la scrittura è per lui pura energia vitale. «Scrivere mi dà  la possibilità  di fuggire dalla quotidianità  e di calarmi totalmente in altri mondi. Di vivere vite diverse, più felici, solide e impegnate della mia. È una questione di sopravvivenza. E anche la mia forma più alta di realizzazione personale. Ci metto molto a scrivere un libro. Per Coral Glynn ho impiegato cinque anni. E ogni volta che ne finisco uno, ho paura di non essere mai più in grado di scriverne un altro. Del resto quando non scrivo sto male, vengo assalito dalla depressione». Il malessere di Cameron, quella sensazione dolorosa di esclusione dal mondo, risale a molto tempo fa. «A Pompton Plains, in New Jersey, dove sono nato, ho avuto un’infanzia tradizionale. Mio padre era un banchiere e lavorava a New York, mia madre si occupava della casa e di noi bambini: io, le mie due sorelle più grandi e mio fratello più piccolo. Il fatto di avere una famiglia unita e affettuosa non mi ha impedito di sentirmi da sempre molto solo. Una sensazione che credo derivi dalla mia natura artistica ultrasensibile e dal fatto che sapevo di essere omosessuale ma non avevo accanto dei modelli positivi che mi aiutassero e mi sostenessero nello sviluppo della mia sessualità . Non ricordo episodi particolari della mia infanzia che abbiano contribuito a farmi diventare uno scrittore. Ma fondamentale è stata la lettura di romanzi di grandi autori: da Barbara Pym a Anton Cechov, da Muriel Spark a Elizabeth Bowen. Rimangono nitidi nella mia memoria molto più di tanti libri letti di recente».
A otto anni Peter si trasferisce con la famiglia a Londra, per via del lavoro del padre. «Per la prima volta mi sono trovato in una grande città  multiculturale, molto più stimolante rispetto alla provincia del New Jersey. Ho frequentato l’American School, una scuola creativa e all’avanguardia, con studenti provenienti da ogni parte del mondo. Lì ho iniziato a scoprire l’appagamento che ti dà  la creatività , il piacere della lettura e il fascino della metropoli che permette di condurre una vita protetta dall’anonimato».
Una volta tornato in America Cameron studia letteratura inglese all’Hamilton College, nello stato di New York, e inizia a scrivere poesie e racconti. «Finalmente riuscivo a mettere in pratica ciò che avevo imparato sulla potenza e la bellezza del linguaggio e dello stile. E cominciavo a rendermi conto che scrivere era un antidoto alla mia innata infelicità ». Terminati gli studi, ritorna in New Jersey ma attraverso la passione per il teatro scopre New York. È amore a prima vista e nell’82 si trasferisce in questo appartamento sulla Decima strada. «Negli anni Ottanta l’East Village era un posto molto cupo e inquieto, diverso dal quartiere affollato e borghese di oggi. Rimpiango la tensione e l’energia di quel periodo, i negozi e i ristoranti che frequentavo in quegli anni. Ora si sono tutti spostati a Brooklyn, ed è difficile per me trovare negozi che vendano il necessario a prezzi contenuti. Ma è un quartiere che non posso fare a meno di amare». Cameron viene assunto nell’ufficio diritti della casa editrice St. Martin’s Press, ma il lavoro si rivela un disastro. «Ero un venditore terribile. Non leggevo i libri che dovevo proporre, solo quelli che mi piacevano. Così mi sono licenziato e ho cominciato a lavorare nell’amministrazione di una Onlus di protezione ambientale: The Trust for Public Land». Nel frattempo comincia a mandare al New Yorker i suoi primi racconti e riceve commenti incoraggianti. Il primo esce nel 1983, negli anni a seguire ne verranno pubblicati altri dieci. Nel 1990 Cameron cambia lavoro e si sposta alla Lambda, un’organizzazione in favore dei diritti civili degli omosessuali e di persone sieropositive. «Era la cosa giusta per me. Lavoravo tre giorni alla settimana e avevo abbastanza tempo a disposizione per scrivere». Dopo aver insegnato per parecchi anni, è da poco ritornato a lavorare part-time per il Trust for Public Land. «Il mestiere di scrittore è un’attività  solitaria e io ho bisogno di comunicare con altri esseri umani. I colleghi di lavoro sono persone interessanti e stimolanti e hanno il vantaggio di lasciarti libero emotivamente: non sono familiari o amici, non ti caricano di responsabilità  affettive». In un’altra direzione si muove la sua terza attività  lavorativa, la Wallflower Press, una piccola casa editrice che ha fondato nel gennaio 2010. «Pubblico in edizioni limitate di dieci copie racconti miei e di scrittori che amo, come James Lord o Denton Welch. Ogni libro viene da me editato, disegnato e realizzato a mano. È un’occupazione che mi diverte e mi rende felice, il fatto di creare qualcosa con le mani è un antidepressivo e bilancia il lavoro intellettuale».
Peter Cameron finisce il suo tè e, mentre carezza a turno entrambi i cani, si illumina parlando delle sue passioni: i libri che ha amato, il teatro, l’arte e la fotografia («Ho visto la mostra di Cindy Sherman, non mi aspettavo che le sue fotografie fossero così grandi»), gli angoli prediletti di New York («La nuova High Line è un luogo perfetto per passeggiare e rilassarsi»), le librerie preferite («Strand sulla Broadway è un posto speciale»), la politica («Spero che Obama venga rieletto. Il secondo mandato gli darebbe la possibilità  di agire con più libertà »), i progetti futuri («Sto lavorando a un romanzo ambientato nella Finlandia di oggi»). Ma quello che più gli preme è tentare di svelare il mistero che sta dietro al processo creativo: «Tutti i miei libri nascono dal mio inconscio. È un aspetto che non posso controllare. Sono influenzato molto di più da quello che leggo che non da quello che vivo. È l’immaginazione a guidarmi. Se per molti scrittori è la vita a diventare letteratura, nel mio caso è vero l’opposto: è la letteratura che si trasforma in vita».


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