Storia dell’Autonomia con lo sguardo rivolto al presente

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Così afferma ad un certo punto della storia il protagonista mascherato di V for Vendetta, la graphic novel di Alan Moore e David Lloyd, da cui è stato tratto anche un fortunato film. E forse proprio a queste parole si è ispirato Marcello Tarì per scegliere il titolo del suo Il ghiaccio era sottile. Per una storia dell’Autonomia (DeriveApprodi, pp. 214, euro 16). Già , perché in quegli anni Settanta del Novecento il ghiaccio era davvero sottile, sembrava veramente che da un momento all’altro potesse cambiare tutto. Crepe parevano aprirsi dovunque per l’azione di operari, studenti, donne, disoccupati, omosessuali, prigionieri, precari. E Tarì, «ricercatore scalzo» secondo la definizione che ne dà  il risvolto di copertina, racconta e mette in fila, in questo suo saggio, tutte queste fratture all’interno dell’ordine costituito. E riesce così a raccontare la storia dell’Autonomia, fenomeno politico anomalo, nuovo, conflittuale che contribuì in modo decisivo alle lotte e al movimento dell’epoca.
Una storia a sua volta autonoma, di parte, lontana da equidistanze e distinguo propri della storiografia ufficiale. Ma non per questo meno attendibile. Una storia che ripercorre tutti i momenti salienti nel percorso dell’Autonomia, ne indaga le azioni, le soggettività  all’opera, le riviste, le radio e le forme di comunicazione, gli obiettivi, le forme e i luoghi di organizzazione, i rapporti con le altre componenti del movimento. Le vittorie e le sconfitte. Le discussioni e le divisioni.
Il libro risulta strutturato in tre capitoli ed una postfazione all’edizione italiana. (Il saggio è stato pubblicato prima all’estero; e questo spiega la chiarezza con cui vengono narrate le vicende di quegli anni, dall’esigenza cioè di tener presente che ci si sta rivolgendo ad un pubblico meno informato sugli accadimenti rispetto a quello italiano). I tre capitoli seguono un andamento cronologico, occupandosi rispettivamente degli anni tra il 1973 il 1975, tra il 1975 e il 1976 e, infine, concentrandosi sul 1977 e gli avvenimenti successivi, ovvero il rapimento di Moro, la stretta repressiva e la «scomparsa» – tra virgolette, come la scrive l’autore – dell’Autonomia. 
Si parte allora con l’occupazione della Fiat, la nascita del cosiddetto partito di Mirafiori, la crisi dei gruppi nati dal ’68, lo scioglimento di Potere operaio. Si analizzano categorie come il rifiuto del lavoro, l’operaio di massa, l’operaio sociale, il proletariato giovanile. Si viaggia da Torino a Milano, a Bologna, a Roma, nel Sud e anche nelle piccole città , dove da ogni parte sembrano nascere circoli del proletariato giovanile e centri sociali e gruppi e aggregazioni differenti. Il tutto scandito dalle lotte, dalle discussioni sull’organizzazione, dalle mille facce dell’area – come si diceva allora – dell’Autonomia, entità  difficilmente inquadrabile, quasi sfuggente che opera e che disegna un comunismo spurio che «mette insieme Marx e l’antipsichiatria, la Comune di Parigi e la controcultura americana, il dadaismo e l’insurrezionalismo, l’operaismo e il femminismo, fa scontrare Lenin con Frank Zappa».
Lo sguardo che narra queste vicende non intende «segnalare i meriti e e responsabilità  soggettive o oggettive, né stabilire quella che fu la “vera storia”», quello che è in gioco «è il gesto dell’assunzione di una vicenda rivoluzionaria come di qualcosa che ci è comune e contemporanea». Non allora rimpianto per una stagione trascorsa, né monumento a un passato glorioso, ma rapporto con il presente. Come dimostra anche la postfazione, in cui l’autore mette in relazione le teorie, le idee, le scelte passate con le tematiche e le lotte dei movimenti attuali. Del resto, per riprendere il discorso di V citato all’inizio: «Quando l’autorità  si sentirà  incalzata dal caos, ricorrerà  agli espedienti più turpi per salvaguardare il suo ordine apparente. Ma sempre un ordine senza giustizia, senza amore né libertà , che non potrà  impedire a lungo che il mondo precipiti nel pandemonio».


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