Gotico, Scoprire in Catalogna il cuore antico della cultura d’Europa

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BARCELLONA – Sono mesi che non si parla d’altro che dell’endemica crisi dell’Europa, ma la crisi non è solo economica: è assai più profonda, ché gli europei si conoscono tra loro assai poco, molto meno di quanto dovrebbero. Questo pensavo attraversando le sale del Museu Nacional d’Art de Catalunya, in cima al Montujc dal quale si gode il panorama della città . L’occasione è la mostra
Cataluà±a 1400. El Gà³tico Internacional, a cura di Rafael Cordinella, con Guadaria Macà­as e Cèsar Favà , fino al 15 luglio, che ci offre uno spaccato originale della civiltà  artistica catalana assai ricco e denso di significati assai ben esposti in un eccellente catalogo. Un anello essenziale la Catalogna, che da un lato volge verso la vicina Francia e le più lontane terre dei Paesi Bassi, dall’altro s’apre sulle rotte del Mediterraneo e, dunque, verso Provenza e Italia. Una stagione artistica che principia sul finire del Trecento e si protrae fino alla metà  del Quattrocento, nel corso della quale si viene formando un codice stilistico, in prima istanza con una forte influenza parigina grazie al mecenatismo dei Valois e poi fiamminga che diedero notevole impulso a creare un segmento di quella temperie figurativa che è il Gotico internazionale.
La contaminazione tra diverse aree stilistiche, la presa di contatto con altre esperienze figurative tra le quali la Toscana, furono il lievito perché in Catalogna prosperasse una civiltà  artistica che non è azzardato definire “nazionale”, prima ancora che la nazione Spagna si fosse istituzionalizzata. Certo Valencia e Barcellona non sono paragonabili a Parigi, Bruges o Gand, ma la produzione di codici miniati e di oreficeria a prevalente carattere religioso, l’argenteria, gli smalti, gli arazzi, la scultura in legno dipinto, in marmo, pietra e terracotta sono un repertorio affascinante che solo gli specialisti son capaci di valutare nella loro ricchezza e varietà  d’accenti e di influenze. Ma davvero è imponente per qualità  la pittura su tavola: quei retablos che adornarono e adornano tante chiese del Regno d’Aragona. Ed è soprattutto in questo ambito geografico che fiorisce una cultura figurativa autoctona di seducente momento. Il Gotico internazionale in Catalogna ha figure due figure dominanti: Lluà­s Borrassà  segna la prima tappa, e Bernat Martorell la seconda. Del primo, il retablo con La Vergine e San Giorgio Nrisale all’ultimo decennio del Trecento, è di media dimensione e presenta soluzioni innovative: le predelle in basso sono infatti insolitamente grandi rispetto agli scomparti superiori. Nella predella al centro
Cristo con i segni della Passione, ai lati la NMater dolorosa e San Giovanni evangelista: all’estrema sinistra l’Ascensione della Maddalenae, all’estrema destra San Francesco riceve le stimmate. Sopra un San Giorgio fuori scala e accanto la Vergine nel Tempio.
Gli altri scomparti illustrano le imprese del santo e il suo martirio su una banda, sull’altra storie della vita di Maria. In alto, la cuspide con la Crocifissione. Più tarda la tavola di Borrassà  e Guerau Gener con la
Resurrezione di Cristoche s’impone per i contrasti cromatici e per i maschi volti dei militi che facevano guardia alla tomba. Il capolavoro di Borrassà  è il grande retablo, di circa cinque metri per quattro, di cui qui si vedono tre pannelli con la Conversione di Pietro, la sua
Crocifissione e la Caduta di Simon il mago. L’intensità  dei ritratti, l’addensarsi dei personaggi nelle composizioni, la ricercatezza degli abiti sono di fattura fiamminga. Il più grande pittore di questa pittura catalana è Bernat Martorrell e la sua maggior opera il retablo di
San Giorgio, smembrato, è qui presente con quattro scomparti, provenienti dal Louvre: essi raffigurano il Giudizio del santo, il Supplizio, la Flagellazione e la Decapitazione. Il contesto figurativo è radicalmente mutato: il finissimo intarsio del disegno, la soda costruzione architettonica del seggio, il fondo oro, la modulata scala cromatica rimandano alla pittura d’Avignone dell’esilio papale, forse persino a Siena. Come se il centro di gravità  della cultura catalana si fosse spostata dal nord franco-fiammingo verso il Mediterraneo. Si sente l’eco profondo e misterioso di Duccio nell’ammassarsi di guerrieri, alabarde e stendardi, o almeno a me così pare, anche se Martorell nulla sa di Duccio, né conosce i fondi oro e le trine di Simone Martini. Mentre facies fiamminga rintocca nelle vesti raffinate e nei corpi filiformi che troviamo nei due scomparti del retablo di Santa Lucia e di San Michele che data al 1445. Autentici capolavori all’apice di questa civiltà  figurativa. Jaume Ferrer e Joan Antigo ci fanno intendere come questa scuola si articoli e si vada modificando col tempo adottando moduli stilistici non affatto uniformi.
Il fascino di questa cultura è proprio nell’incrocio di strade che non si vedono chiaramente, le cui rotte si contaminano e si mescolano per misteriose vie attraverso le quali navigano le nuove e molte lingue del Gotico Internazionale. Ci sono scultori come Pere Joan dal cui Dio padre emana una scabra e possente energia formale, o la raffinata terracotta policroma di Sant’Eulalia di Giuliano di Nofri che testimonia come gli scambi fossero intensi anche con maestri italiani. Un solo arazzo citerò ed è il frontale di
San Giorgio di Antoni Sadurni su disegno di Martorell: il drago, spalanca un’orribile chiostra di denti, e la fanciulla terrorizzata è come avvolta dal corpo squamato del mostro. Sulla sinistra un castello con tanti spettatori assiepati sugli spalti che ancora una volta mi fanno pensare alle città  fortificate di Duccio.


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