Thomas Schutte

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TORINO – Lode al Castello di Rivoli, Museo d’Arte Contemporanea. Per avere chiuso in attivo il bilancio del 2011 con oltre 100.000 visitatori. E naturalmente lode al suo direttorio, Andrea Bellini e Beatrice Merz. Quest’ultima ha dato una nuova dinamica al patrimonio iconografico della collezione con nuove aggregazioni e l’innesto di giovani artisti. Oltre il muro è il titolo dell’ultimo assemblage sigillato inoltre da una struggente installazione video di Michal Rovner, l’artista che nove anni fa aveva incantato Venezia con la sua opera nel padiglione israeliano.

Andrea Bellini, invece, con Dieter Schwarz, ha curato una mostra esemplare di Thomas Schà¼tte, Frauen, fino al 23 settembre. La Manica Lunga del castello è un contenitore di intensa ospitalità  per le diciotto figure di donne che stazionano nello spazio, ognuna sopra un tavolo di metallo. L’artista tedesco, allievo di Gerhard Richter, sembra stabilire un corpo a corpo sia con il tema che con i materiali che lo rappresentano. Le Frauen, le donne, in bronzo, alluminio, pietra, acciaio ed altri materiali esibiscono esplicitamente i segni di un immaginario eccitato e conflittuale nei loro confronti, sottoposte a forti pene corporali, a deformazioni spaziali ed a riduzioni organiche.
Schà¼tte, formatosi negli anni Ottanta, epoca post-moderna, ribalta il ruolo romanticamente superominico o di guida spirituale dell’artista – come lo intendeva Beuys – preferisce un’arte che mina ogni certezza, introduce il dubbio e si pone piuttosto come domanda sull’universo. «I miei lavori hanno lo scopo di introdurre un punto interrogativo storto nel mondo», afferma.
L’emozionante sequenza delle figure femminili è il sintomo di una soggettività  conflittuale che non si misura soltanto con l’eterno femminino, ma anche con la storia dell’arte ed in questo caso con quella della scultura. Le diciotto Frauen documentano il coraggio di un’artista che sdogana finanche la monumentalità  di un certo genere come quella di Maillol e Bourdelle, ma arriva persino a confrontarsi senza alcuna inibizione con le raffinate forme di Matisse, le deformazioni di Picasso, le surreali anamorfosi di Dalà­ e il gigantismo organico di Henry Moore. 
L’artista abbandona la sua preferenza per le strutture architettoniche o per i set teatrali con i quali affrontava problematiche politiche, storiche ed artistiche: quei memoriali che commentavano la morte dell’artista stesso (Mein Grab, 1981) oppure quella del Fà¼hrer (Where is Hitler’s Grave, 1991). 
Qui invece egli analizza i canoni della scultura classica, svuotata di ogni profondità  e ridotta a pura forma celebrativa nel Novecento durante i regimi totalitari. Schà¼tte affronta tale svuotamento con la pietas di chi è consapevole che la scultura è un genere che vuole essere perdonato per la sua occupazione di spazio, per la sua enfatica staticità , per la sua invadenza e l’invasione di suolo pubblico e privato. 
Dopo Head-Wicht (2006) e Good and Bad (2009), in cui affrontava le potenzialità  espressive della fisiognomica, qui a Rivoli con le sue Frauen numerate da uno a diciotto riesce a intensificare il mezzo scultoreo, a restituirgli erotismo e potenza, a farne reliquie palpitanti di un conflitto che certamente non riguarda soltanto l’artista, ma antropologicamente tutta l’umanità : maschile vs femminile.
Le Frauen derivano direttamente da alcuni modelli in ceramica scelti tra 120 diversi bozzetti realizzati tra il 1997 ed il 1999. La metamorfosi sembra costituire la procedura plastica di queste sculture che si spingono fino all’anamorfosi, a dimostrare gli incubi verso il corpo femminile qui abitato da mille contorsioni, contrazioni, sussulti, autoerotismi, amplessi che frustrano lo spettatore riducendolo a puro voyeur. Le Frauen 5, 6 e 8 esaltano l’autosufficienza dell’universo femminile, che sembra poter copulare con se stesso, autoriprodursi e dunque depotenziare il maschile.
Le Frauen 8 e 10 nello stesso tempo sviluppano sorprese plastiche, segni di vitalismo del femminile capace di confrontarsi con ogni canone e trasgredire l’ordine formale della tradizionale rappresentazione della bellezza. Simmetria, proporzione e armonia vengono travolte dal temperamento e dal genius loci dell’artista tedesco. Fomentato da una allegra misoginia che si fa creativa di nuove forme, sostenute anche dalla propria lingua madre, l’espressionismo. 
Comunque, la memoria culturale di Schà¼tte ingloba anche Bosch e Goya, condensa dentro di sé molti esiti iconografici della storia dell’arte, necessariamente non tutti a lieto fine. Qui le Frauen sono abitate da un principio di sopraffazione continuamente minato dal sospetto di veloci cambiamenti della forma, mutilazioni che si trasformano in nuove posture del corpo, pezzi di gambe e braccia che trovano soddisfazione nel sintetizzarsi anche visivamente in un unico habeas corpus. Ciò rovescia visivamente la staticità  dei tavoli di metallo su cui giacciono adagiate le diciotto Frauen, evitando ogni obitorio. A dimostrazione del vivificante furor creativo dell’artista in un gioco di forme plastiche tra eros e thanatos che dà  lunga vita alle figure.


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