Fuoco sul piano di pace

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«Sono scioccato e sgomento». Così Kofi Annan, inviato speciale dell’Onu e della Lega araba per la crisi siriana, ha commentato ieri la notizia degli «intensi combattimenti» che avrebbero provocato tra i 150 e i 200 morti a Tremseh, un villaggio nel centro della Siria, nella provincia di Hama. Per il governo di Bashar al-Assad si è trattato dell’ennesimo attacco di «terroristi» in combutta con quei media «assetati di sangue, che vogliono spingere l’Onu all’intervento armato alla vigilia di una nuova riunione del Consiglio di sicurezza». 
Un «massacro – secondo l’Osservatorio siriano per i diritti dell’uomo – forse il più grande commesso dal regime dall’inizio della rivoluzione, considerando le piccole dimensioni della città  colpita». Diverse fonti dell’opposizione hanno però confermato che gli uccisi sono in maggioranza ribelli armati del Libero esercito siriano che hanno attaccato un convoglio militare. Aiutati dalle milizie filo-regime dei villaggi a maggioranza alawita, i soldati avrebbero risposto al fuoco e negli scontri sarebbero morti anche 17 civili, mentre cercavano di fuggire da Tremseh. La cittadina a maggioranza sunnita, secondo l’opposizione, «è stata bombardata con carri armati ed elicotteri», poi le milizie pro-Assad, «hanno fatto strage di intere famiglie». 
A Damasco, il capo degli osservatori dell’Onu in Siria, il generale Robert Mood ha dichiarato di essere pronto a recarsi a Tramseh «per verificare i fatti», ma a condizione che venga rispettata la tregua prevista dal piano di pace in sei punti proposto da Kofi Annan. Un progetto accettato ad aprile dalle parti in conflitto ma subito disatteso nei fatti: tanto da rendere impossibile il proseguimento dell’attività  dei circa 300 osservatori Onu, rimasti fermi nelle varie province dalla metà  di aprile.
Annan ha nuovamente rilanciato il piano di pace dopo un colloquio con Assad definito «costruttivo» anche dal regime. Anche l’Iran – che non era stata invitata alla riunione tenutasi a fine giugno a Ginevra alla presenza di tutti gli attori internazionali interessati al conflitto siriano – ha dato il suo pieno appoggio all’iniziativa di Kofi Annan, al termine di una riunione avuta con il mediatore martedì a Tehran. 
I 15 membri del Consiglio di sicurezza si sono però separati giovedì senza aver compiuto veri progressi sul testo di una risoluzione da presentare e hanno continuato anche ieri le discussioni. In questione, un processo di transizione politica che porti la Siria fuori dalla crisi, sempre più sanguinosa, in cui è precipitata dal 15 marzo del 2011. 
Mentre l’opposizione siriana più intransigente chiede l’intervento armato dell’Onu, la Russia rifiuta di avallare le sanzioni contro il governo di Assad. Mercoledì ha minacciato di mettere il veto a un progetto che prevede sanzioni economiche, proposto all’Onu da europei e statunitensi. Un testo che intimava al regime di Assad di ritirare le sue truppe e le armi pesanti dalle città  ribelli entro dieci giorni, pena l’arrivo di pesanti sanzioni. Dopo una riunione degli ambasciatori dei cinque membri permanenti del Consiglio (Usa, Francia, Regno Unito, Cina e Russia), la Russia ha affermato che le sanzioni sono «una linea rossa» da non superare.
Dal canto suo, gli Stati uniti hanno minacciato di non rinnovare la missione di pace, il cui mandato termina il 20 luglio se i contenuti della risoluzione proposta non verranno accettati. E da Beirut, dove si è recato nel quadro di una missione regionale che lo condurrà  anche in Israele e Cisgiordania, il sottosegretario di Stato Usa, William Burns, ha lanciato un appello all’Onu affinché agisca contro il regime siriano, citando «il rapporto sul massacro di Treimsa».
Ieri, l regime siriano ha confermato la prima defezione di uno dei suoi ambasciatori, Nawaf Fares, di stanza in Iraq. Fares ha spiegato la sua decisione in un messaggio video diffuso dalla tv Al-Jazeera e ha invitato l’esercito a «raggiungere immediatamente i ranghi della rivoluzione».


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