Quel sofferto cammino verso la comunità  degli affetti

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Pietro Barcellona è uno dei pochi pensatori del Novecento che non ha superato lo shock prodotto dalla crisi del comunismo e, quindi, del sogno dell’alternativa al capitalismo e ai sistemi esistenti in Occidente. Al contrario, nella consapevolezza che ogni movimento verso il futuro non può che ripartire da una rilettura del presente e delle cause profonde – storiche e culturali – che quel fallimento hanno causato, si è fatto carico del compito di ricostruire l`intero ciclo evolutivo e involutivo che ha portato un progetto di emancipazione al suo fallimento. Quindi non una fuga in avanti, verso la modernità  e il progresso infinito, cercando di confondersi come hanno fatto in tanti tra le folle inneggianti alla «fine della storia», alla «democrazia» e al «progresso», e neanche con la lettura consolatoria dell`«avevamo detto», come se il fallimento fosse dovuto a problemi di scelte politiche o di errori di pianificazione e di modelli di mercato, come sono soliti fare gli economisti. 
Oltre la frammentazione
Un cammino che non lo vede giudice estraneo e al disopra delle parti, ma parte del problema, e che pertanto non sceglie la comoda narrazione in terza persona, di distanza dalle persone e dai fatti, ma si interroga partendo da sé, dai propri interessi e dalle proprie aspirazioni, dalle forme e contenuti del proprio linguaggio, per svelarne i legami profondi con la realtà  e le esperienze che si propone di illustrare. La riflessione di Barcellona è una lettura attenta, sofferta, dei fenomeni che hanno reso tutto questo possibile rinunciando sia al determinismo economicistico del mercato, sia all`idea seducente ma falsa dell’«uomo macchina» applicata al funzionamento della mente, alle sue aspirazioni e sofferenze, come oggetto di trattannti semiautomatici a dinamiche sociali o meccanismi di causa effetto. L’orizzonte dentro il quale si muove la sua riflessione non è quello degli equilibri parziali, del soddisfacimento di questo o quel bisogno, del raggiungomento di questo o quell’obiettivo specifico che nella letteratura corrente svolgono il ruolo sia di distrarre dalla gravità  e complessità  dei problemi e delle domande che ci si pone, sia di sviarne l’impegno e l`attenzione verso presunte soluzioni di nicchia e consolatorie. Si tratta invece di superare la frammentazione esistente tra l’io e il noi, tra i bisogni e le aspirazioni, frutto della segmentazione dei saperi. Per questo rimette al centro della riflessione le cause del malessere di ciascuno e di tutti nel mondo attuale che producono la «paura» e l’«angoscia», e fa convergere gli obiettivi del loro superamento verso la comunità  di senso (nell’economia, nella politica, nella vita affettiva, nei rapporti sociali) per ridare forza alla «speranza», l’unico antitodo vero al declino attuale e alla catastrofe in via di realizzazione. 
Un cammino di ricerca e di riflessione intrapreso da tempo e con anticipo sulle mode correnti, sia nella individuazione della contraddizione costitutiva della modernità  con la sua pretesa di sostituire la comunità  tradizionale con lo Stato burocratico e il sistema dei diritti – sia borghese o del socialismo europei – sia nell’indicazione di una via di uscita con la «fondazione di una nuova comunità » costruita sulla rifondazione del «legame sociale», oltre il formalismo giuridico e le semplificazioni dell`individuo e del mercato (Il ritorno del legame sociale, 1989). Così come già  nel 1997 (Politica e passioni) individuava il problema della crisi della politica in una «crisi di senso», contribuendo al filone teorico ripreso da altri valenti ricercatori italiani (Mauro Magatti). 
«Proseguendo con passione e intensità  la ricerca su ciò che caratterizza l’epoca in cui viviamo, e sul rapporto tra la rappresentazione del mondo contemporaneo e la mia vita personale» – scrive nella premessa al suo ultimo lavoro, La speranza contro la paura, Marietti, pp. 192, euro 15 – provo la sensazione di trovarmi racchuso in una serie di cerchi concentrici non comunicanti e, tuttavia, contenuti l`uno nell’altro». Barcellona rompe questa gabbia di acciaio che costringe e retringe la nostra creatività  e immaginazione, con una rilettura e elaborazione trasversale a numerosi campi del sapere – dalla psicologia, alla sociologia, alla psicoanalisi, all’economia, all’etica, al pensiero reglioso – che scavalca l’approccio interdisciplinare, non ignorandolo ma andando oltre. Il libro è un esempio magistrale di quella che grandi pensatori come Jean Piaget, Karl Polany e Gunnar Myrdal segnalaroro come bisogno di un pensiero transdisciplinare, e il cui messaggio fu percepito e trasmesso in Italia, tra gli altri, da Federico Caffè.
Per ritrovare la speranza, l’unico antitodo all’angoscia esistenziale e alla paura del vivere quotidino, è necessario secondo l’autore liberarsi della grande illusione moderna di emancipazione basata sul bisogno continuo di godimento materiale e del suo approdo nel mercato inteso come unico meccanismo di integrazione sociale. Due osservazioni che colpiscono al cuore le forme più evolute della modernità  borghese – lo Stato del benessere – che: «bolla come reazionari e conservatori tutti colo che non si lasciano sedurre dalla prospettiva di cambiare regole e principi della vita collettiva in nome di un inaudito sviluppo della libertà  individuale». Una concezione dell’individuo che assume la libertà  come sciogliemento e negazione di ogni vincolo sociale, e che fa della libertà  economica lo strumento essenziale per la conquista del proprio potere di consumare.
Un problema di solidarietà 
Pietro Barcellona analizza a fondo la distinzione tra la paura e l’angoscia, le due maggiori «malattie mortali» del nostro tempo che permeano tutti gli angoli della vita, per individuarne le implicazioni politiche. La paura – egli scrive – nella concretezza delle sensazioni che produce, non si supera con le misure securitarie che servono solo a spostare in avanti i livelli del pericolo percepito. L’angoscia, esistenziale e per il pianeta minacciato, non è superabile con i diritti o con i riti shamanici alimentati dal mantra della decrescita e d`intorni. Questo perché: «C`è una distinzione abissale tra il sentimento e la logica razionale, tra la proposta di una spiegazione di chi prova paura del buio e la relazione affettiva che consente di condividere fino in fondo i sentimenti. La relazione affettiva è un antitodo alla morte perchè aiuta a vivere insieme e allontana l`angoscia». Ricostruire la speranza, l’unico vero antitodo ai nostri mali, significa passare dall’economia e dalla società  dello scambio e dei diritti all’economia e alla comunità  degli affetti e della solidarietà . 
La lettura del libro di Pietro Barcellona, (La speranza contro la paura, Marietti, Genova Milano, 2012) mi ha ricordato violentemente i due volumi editi a suo tempo da Einaudi sulle Lettere dei condannati a morte della Resistenza in Italia e in Europa. Lettere scritte come reazione alla violenza e alle torture inflitte e alla vigilia dell’esecuzione capitale. Non c’è lamento in quelle lettere, non c`è pentimento ma una forza esistenziale alimentata dall`affetto dei propri cari, dalla fiducia nella solidarietà  dei propri compagni e, infine, dalla certeza e speranza di un mondo migliore.


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