«Basta polveri su Tamburi»

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TARANTO. Un vertice per dare il via definitivo alla fase di attuazione dei provvedimenti presenti nelle ordinanze del Gip e del Tribunale del Riesame. E per ribadire ancora una volta che all’azienda non è stata concessa alcuna facoltà  d’uso degli impianti. Sui quali bisogna intervenire e anche al più presto, per contenere al massimo le emissioni inquinanti. Nelle quasi tre ore di riunione negli uffici della Procura di Taranto, di questo hanno discusso i custodi giudiziali (Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento), che ieri hanno presentato relazioni di centinaia di pagine dove indicano le modalità  d’intervento sugli impianti delle aree dello stabilimento Ilva sottoposte a sequestro dal 25 luglio, il procuratore capo Franco Sebastio, l’aggiunto Pietro Argentino ed il pm Buccoliero. A questi si è aggiunto il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante: l’ex prefetto è stato infatti rinominato custode con compiti amministrativi e contabili dal Riesame, che ha accolto l’incidente di esecuzione proposto dai legali dell’azienda dopo i provvedimenti del Gip Todisco (10 e 11 agosto) che sconfessavano il primo verdetto del Riesame (7 agosto).
Come detto, il vertice di ieri è servito per mettere definitivamente i puntini sulle “i”, dopo settimane in cui tra ricorsi e provvedimenti, si era persa di vista l’essenza dell’intera vicenda dell’Ilva di Taranto. Al termine della riunione, il procuratore capo Sebastio ha ribadito che saranno i custodi «a stabilire i tempi di intervento sui vari impianti: da oggi si passa alla definitiva fase di attuazione». Negli ultimi giorni, diverse erano state le critiche rivolte alla magistratura, rea di procedere troppo lentamente. «L’Ilva non è un’officina dove per chiuderla basta abbassare una serranda: qui siamo in presenza di impianti complicati e delicati. Vi basti pensare che le ultime due relazioni consegnate oggi dai custodi, hanno le dimensioni di libri di centinaia di pagine». Tra le aree dalla maggiore complessità , figurano i parchi minerali e ferrosi: oltre 70 ettari a cielo aperto che da decenni ricoprono e avvelenano Taranto. Che fare dunque?
La strada indicata ieri dalla Procura in tal senso è netta: da oggi non sarà  più possibile portare altro minerale all’interno dei parchi, pericolosamente a ridosso del quartiere Tamburi. Si dovranno trovare le soluzioni adatte per diminuire l’altezza dei cumuli di minerale attualmente presenti. Inoltre, per sgomberare il campo dalle facili e sterili polemiche, la Procura ha servito un jolly non da poco all’azienda: «Per attuare tutti gli interventi necessari al risanamento degli impianti e alle varie operazioni di bonifica – ha dichiarato Sebastio – servirà  ulteriore manodopera: dunque l’azienda, se vorrà , potrà  assumere altro personale. La nostra azione non prevede licenziamenti di massa: non siamo degli sprovveduti».
Ma se alla Procura e ai custodi nominati dal Gip Todisco la situazione appare molto chiara, lo stesso non è per l’azienda. Che, ad esempio, continua a produrre mantenendo gli impianti al 70% della loro effettiva potenza. Sostenendo la tesi che per essere risanati, gli impianti devono restare in funzione e, per questo, tanto vale produrre. Informato di ciò dai cronisti presenti all’esterno della Procura, Sebastio ha risposto alquanto infastidito: «Andatevi a rileggere l’ordinanza del Tribunale del Riesame: non c’è alcuna facoltà  d’uso per la produzione». Dunque l’Ilva non deve assolutamente continuare a produrre, come invece avvenuto senza soluzione di continuità  sino a oggi.
Cosa accadrà  adesso? Come reagirà  il Gruppo Riva? In attesa delle prossime mosse, il presidente Ferrante sceglie ancora una volta la via della diplomazia. Al termine del vertice, ha infatti dichiarato che «i magistrati inquirenti hanno dato indicazioni operative e obiettivi precisi: soprattutto di contenimento delle emissioni». «Ora – ha concluso – spetterà  ai custodi tecnici e a me, operare collegialmente riferendo al procuratore e operare nel senso indicato da loro». L’obiettivo posto dal Tribunale del Riesame, infatti, è risanare gli impianti: la chiusura degli stessi è vista come l’ultima possibilità  d’intervento. Che però rischia di diventare presto realtà  qualora l’azienda continui a produrre, non rispettando i diktat della Procura.


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