“A Roma un sindaco inconsapevole” e Croppi si vendica di Alemanno

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SULLO sfascio civico, politico e amministrativo della capitale, di cui Gianni Alemanno è ritenuto l’emblema, esiste ormai un’abbondante letteratura, quattro-cinque libri più o meno riusciti, ma tutti nei suoi riguardi impietosi. E tuttavia il fatto che li abbiano scritti giornalisti avversari può addirittura inorgoglirlo.
Bene. Quest’ultimo che sta per uscire con il titolo, già  piuttosto evocativo, di ‘Romanzo comunale’ (Newton Compton, ben 380 pagine, euro 9,90) non potrà  appuntarselo sul petto come ennesima medaglia; e non solo per via delle elezioni che incombono, ma anche e soprattutto perché l’autore è stato davvero un suo amico fraterno, camerata negli anni durissimi, e senza tema d’esagerazione si considera l’uomo che con un ‘piccolo miracolo’ di fiuto, fantasia e comunicazione l’ha portato in Campidoglio.
Si parla di Umberto Croppi, che in uno slancio autopindarico arriva a definirsi ‘il Matto di Palestrina’, sua città , che Alemanno prima promosse assessore alla Cultura e poi liquidò senza tante spiegazioni, né politiche né sentimentali, essendo il potere scienza ingrata e crudele.
Mentre Croppi, invece, ci aveva preso fin troppo gusto, come si capisce dal meticoloso racconto del suo licenziamento, minuto per minuto, oltre che dalla mole di attestati di solidarietà  che acclude, fra cui anche un’ingenua pasquinata, ‘Croppi, l’uomo saggio, l’uomo buono,/ Croppi, lo stratega gentiluomo’…
Sennonché, per quanto iperabbagliato dalla visibilità , il medesimo Croppi è anche un personaggio intelligente, libero, curioso e anche onesto. Per cui se Alemanno ha il vizio di sacrificare amici, fratelli e testimoni di nozze ai suoi periclitanti destini, con qualche ragione Croppi si è sentito sciolto da un patto e, insieme con il suo collaboratore Giuliano Compagno, ha sanato la sua ferita con il balsamo dei ricordi e magari alla fine deve essersi pure divertito a scriverlo, questo libello, che non dovrebbe interessare solo i poveri romani.
Poveri, perché ciò che più colpisce è la descrizione per così dire psicologica di Alemanno, stavolta effettuata dagli interna corporis del potere: la sua fragilità , la mancanza di visione e di spessore, un deficit costante di adeguatezza e autorevolezza, come se ‘Gianni’ non credesse di essere proprio lui il sindaco di Roma. Un uomo per lo più trafelato che affastella e s’impunta. Diffidente e al tempo stesso arrendevole; un amministratore che accentra tutto, nega credito a tutti e poi promette tutto a tutti: sedi, prebende, poltrone, teatri, enti, festival, piazze e monumenti millenari in una tragicomica epopea che coinvolge Andreotti e Renato Zero, Sgarbi e Barbareschi, le Fendi e Squitieri, Gigi Proietti, Valentino e perfino il Romano Pontefice. Sono le premesse del grande e permanente pasticcio capitolino da cui l’autore di questo ‘Romanzo comunale’, per quel tanto o per quel poco che è riuscito a fare e a evitare, si chiama fuori. Tra sfuriate e improvvisazioni, improvvidi ripensamenti e affrettatissime smanie d’annuncio, al netto dei bilanci sballati, della rigogliosa parentopoli e della gentaccia che il sindaco pervicacemente si mette a fianco, Croppi ripercorre con cognizione di causa quanta micidiale e furba cialtroneria si nascondeva dietro la campagna contro l’Ara Pacis e il suo innocente muretto, il Gran Premio di Formula uno, l’orrida statua del Wojtylone alla stazione Termini, l’incredibile piano per la distruzione e ricostruzione di Tor Bella Monaca.
Non si dirà  qui che Croppi, dopo aver innalzato Alemanno su quella poltrona, si meritava tutta la sua delusione. Certo ne ha guadagnato in serena libertà  critica e narrativa. Resta solo il dubbio che, se fosse ancora assessore, tutto ciò non si sarebbe saputo in modo così ampio e approfondito. Ma questo in fondo è il cuore segreto e ambiguo della libellistica, che tanto più e meglio si apprezza a prescindere dalle migliori, ma anche dalle peggiori intenzioni.


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