Studenti armati di carote centomila in piazza contro i tagli alla scuola

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ROMA — La rivolta della carota nasce su un falso storico, ma trova nelle piazze in sciopero e in corteo un’efficacia teatrale degna della generazione precaria. Il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo quando usò la metafora, lunedì scorso a Genova, e sottolineò la necessità  della carota e del bastone in questo paese da allenare, si riferiva alla lenta burocrazia dei rettori italiani. Ieri, però, gli studenti hanno fatto propria l’immagine e sguainato carote per le strade italiane prestate alla loro manifestazione e a quella dei precari della Cgil. «Ministro, facce l’insalata», è stato il contrappasso.
Centomila presenze denunciate in ottantasette piazze italiane è un calcolo credibile. I volti dei nuovi ribelli, in una giornata accesa dal dibattito sulle otto ore di lavoro in più per i “prof”, mostravano come una rappresentativa minoranza della gioventù scolastica d’Italia fosse pronta a portare avanti un movimento in vita da cinque stagioni. Pioggia su Napoli con due cortei separati di studenti (medi e universitari) e l’occupazione del Maschio Angioino. Magliette sudate a Roma, dove dai camioncini in affitto pompa il rap italiano dei ghetti, l’hardcore rivoluzionario. Nella capitale e a Torino e a Milano si alzano al cielo le carote e servono a lanciare i cori contro Profumo: «Niente arrosto tutto fumo ». In tutti gli altri cortei le carote daranno vitamine a una giornata senza violenze.
Gli studenti di Genova assediano il Salone nautico mandando in tilt il traffico di mezza città : «Organizzate la rivolta finché siete vivi», incita uno striscione. A Bari li riceve Nichi Vendola. Colpisce la capacità  di un movimento che fin qui non ha fermato nessuna legge di penetrare nel paese, persino nella sua provincia. A Carbonia i ragazzi si mischiano con i lavoratori di Portovesme. Ad Ancona, Campobasso, Salerno, Cosenza, in undici città  siciliane, il traffico e le lezioni si fermano. La protesta arriva a Brindisi, dove a maggio una studentessa venne uccisa dalla bomba innescata da un uomo rancoroso. E a Taranto, dove tutto, anche il futuro degli studenti, ruota intorno a una fabbrica di acciaio e di veleni.
Se i docenti supplenti nelle retrovie vogliono fermare la macina di Profumo, chi sta davanti srotola striscioni contro la legge Aprea «cancella-studenti » che, per critica di piazza, ora viene addossata anche al Pd. Chi sta davanti — quasi sempre minorenni, a Roma frequentano le scuole della periferia del Casilino, licei ma anche istituti tecnici — blocca il corteo alle fermate d’ordinanza: l’agenzia del Bancoposta che dovrà  erogare gli odiati prestiti d’onore, le sedi di Unicredit. Si balla e si parla di Europa, di capitalismo da abbattere. A Milano, ancora, i ragazzini che si affacciano alla politica chiedono le dimissioni della giunta Formigoni e portano via dal pennone la bandiera della Regione Lombardia: «Siamo stanchi di una casta malata, corrotta e legata alle mafie. Indegni ». Tutti, Uds, autorganizzati, cani sciolti, pretendono una scuola che nella stagione della spending review sembra una bestemmia: «Di qualità  e di massa». Annunciano un «Manifesto per la liberazione dei saperi » e una tre giorni di occupazioni scolastiche e universitarie — sarà  il 24, 25 e 26 ottobre — per mettere in discussione «il metodo preistorico delle lezioni » e parlare di crisi. «Vogliamo ribaltare il paradigma di una società  individualista e ingiusta».


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