Spagna, la crisi s’allunga

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Per il resto il paese prosegue il suo inesorabile corso austero e neoliberista, condotto per mano verso il baratro dal governo conservatore di Mariano Rajoy. Un rapporto presentato l’altro ieri dal Commissario europeo per l’economia Olli Rehn, sostiene che nei prossimi due anni il numero dei disoccupati raggiungerà  l’astronomica cifra di 6 milioni, il debito pubblico potrebbe superare quello greco, il Pil si assottiglierà  di 1,4 punti. E il rapporto mette nero su bianco che la Spagna sarà  l’ultimo paese ad invertire l’inerzia recessiva. Forse nel 2014, stando alle previsioni di Bruxelles.
In generale non sono buone notizie, ma per 1.700.000 nuclei familiari in cui nessuno dei componenti ha un lavoro, sono tragiche. Un quinto di queste famiglie beneficia di un sostento minimo garantito dalla pensione di qualche anziano parente a carico; sempre che Rajoy non ceda alla tentazione di mettere mano anche all’assegno di anzianità , sogno proibito del governo. Resta però il fatto che anche l’istituzione familiare – in Spagna come in Italia il più efficace argine di contenimento alla crisi e alla disoccupazione giovanile – «inizia a presentare ovvie limitazioni all’ora di coprire tutti le necessita sociali che si stanno creando», come rileva uno studio della Fundacià³n La Caixa. Secondo il quale la Spagna è passata da essere uno dei paesi con il minor divario sociale nella Ue ad essere uno di quelli con la forbice più ampia. Che lo dica una banca suona ironico, ma non per questo meno preoccupante.
Gli effetti del deterioramento dell’ammortizzatore sociale familiare, così come di tutti gli altri, lasciano scoperto un altro nervo sensibile del paese iberico: l’indebitamento privato, che la miscela di mutui concessi a cuor leggero e disoccupazione stanno trasformando in una vera piaga sociale.
Dallo scoppio della bolla immobiliare è cresciuto esponenzialmente il numero delle persone insolventi, che oltre a perdere la casa restano debitrici alla banca della differenza tra il prezzo di vendita all’asta dell’immobile e la totalità  del valore del mutuo contratto. Una vera emergenza che sta mandando letteralmente sul lastrico un numero sempre crescente di famiglie. Basti pensare che solo nel primo trimestre di quest’anno si sono verificati 46.559 sgomberi coatti: più di 500 al giorno.
Ad oggi la legislazione spagnola (ferma al 1909) non prevede strumenti legali adeguati a moderare lo strapotere delle banche, ma proprio ieri l’avvocato generale del tribunale di giustizia della Ue ha dichiarato abusiva la legge spagnola, aprendo uno spiraglio a una possibile riforma della normativa. Riforma, peraltro, già  auspicata dai giudici iberici costretti ad applicare senza margine d’interpretazione una legge che in molti casi non condividono e che sta intasando i tribunali del paese. Intanto anche governo e opposizione – consapevoli delle ricadute della questione sull’opinione pubblica- si sono incontrati in questi giorni per studiare possibili soluzioni al problema.
Prosegue anche l’onda lunga della riforma del lavoro del Pp. Dal 30 ottobre la legge spagnola concede alla pubblica amministrazione la facoltà  di licenziare in massa (con indennizzi minimi stabiliti nel quadro della riforma) il personale di enti statali il cui budget di spesa sia stato ridotto di almeno un 5%. Ovvero quasi tutti. La «riforma» riguarda circa 700 mila lavoratori, che nel migliore dei casi passeranno il Natale senza la 13ma (soppressa dai tagli); nel peggiore senza lavoro.
Intanto il furore privatizzante che dilaga in tutto il paese sta toccando vette preoccupanti nella Comunidad de Madrid, feudo del Pp che controlla regione e capitale. I dipendenti di otto ospedali madrileni stanno protestando contro la privatizzazione di questi centri di salute, annunciata lo scorso 31 ottobre dal governatore della regione Ignacio Gonzà¡lez. Sono a rischio 5.500 posti di lavoro, che potrebbero essere sacrificati sull’altare della sanità -business, vero e proprio cavallo di battaglia del Pp madrileno.
La regione ha infatti introdotto anche una nuova tassa sulle ricette mediche. Ogni cittadino dovrà  versare nelle casse regionali un euro per ogni prescrizione medica, come già  avviene in Catalogna. Il presidente del governo Rajoy si è dichiarato contrario alla misura e ne negozierà  il ritiro con i governi regionali. Ma sembrerebbe uno slancio di populismo piuttosto che un momento di illuminazione.


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