Cile: passi in avanti per un territorio libero dalle mine

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La Colombia, per esempio, nel mondo è seconda solo all’Afghanistan per vittime legate allo scoppio di mine. Dal 1990 ad oggi, sono oltre novemila. Quasi la metà  di queste vittime è composta da civili; tra loro molte donne e bambini. Sono mine che, nella maggior parte dei casi, giacciono nel suolo da diversi anni, anche se la Colombia è l’unico paese sudamericano dove ancora si seminano nuovi ordigni, come frutto della decennale battaglia tra guerriglia armata e paramilitari. La strategia del terrore ha fatto sì che le zone più sensibili, per lo più rurali, siano quelle attorno a scuole, fonti d’acqua potabile, campi coltivabili e vie d’accesso ai centri abitati. In altre parole, le zone di maggior passaggio quotidiano.

In Venezuela, circa 200 esplosivi sono stati collocati in zone strategiche nei pressi di basi militari verso il confine con la Colombia. Altri risultano ancora inesplosi tra Ecuador e Perù, eredità  del conflitto che coinvolse i due paesi a metà  degli anni novanta. Ancora, 20 mila mine sono sparse sulle Isole Falkland, dove tra Argentina e Regno Unito si è creata una situazione di stallo dovuto ad un problema di attribuzione giuridica e di sovranità . A Cuba, la dittatura castrista ha fatto sapere che non intende procedere alla bonifica delle aree attorno a Guantanamo, fino a che gli Stati Uniti non abbandoneranno la base militare. In Cile, durante la sanguinolenta dittatura di Augusto Pinochet, furono disseminati oltre mezzo milione di ordigni lungo i confini con Argentina, Bolivia e Perù.

Proprio sulla la frontiera tra Cile e Perù è in corso in questi mesi un minuzioso lavoro da parte della ONG norvegese Norwegian People’s Aid la quale, su incarico dei governi dei due paesi andini, ha dato il via alle operazioni di sminamento di una porzione di territorio grande circa 67 kilometri quadrati. L’intervento si è reso necessario quando le inondazioni provocate dalle insistenti piogge dello scorso febbraio hanno trascinato lungo il Rio Seco una grande quantità  di mine anti uomo e anti carri armato dal territorio cileno in quello peruviano. Il presidente peruviano Ollanta Humala ha intimato il parigrado cileno di accelerare il processo di bonifica del suolo quando un cittadino del Perù, che aveva oltrepassato una zona con divieto d’accesso, è morto a causa dello scoppio di un ordigno.

La ONG norvegese ha inviato in Sudamerica un gruppo composto da 28 esperti, assieme ad una unità  cinofila ed una sofisticata dotazione di macchinari ad alta tecnologia (come detonatori e metal detector). Norwegian People’s Aid è arrivata in Cile direttamente dalla Bosnia Herzegovina, dove ha da poco concluso un lavoro simile e altrettanto importante di sminamento. Secondo un primo report informativo, al momento è stato bonificato circa il 60% del territorio in oggetto e si prevede di concludere i lavori prima di natale.

A livello internazionale, il testo di riferimento per la messa al bando delle mine è la Convenzione sul divieto d’ impiego, di stoccaggio, di produzione e di trasferimento delle mine antipersona e sulla loro distruzione, conosciuta come Convenzione di Ottawa. Ratificata nel Dicembre del 1997 da 122 stati, vincola i firmatari alla distruzione di tutte le scorte entro 4 anni dalla ratifica, alla bonifica dei territori affetti entro 10 anni e all’attuazione di programmi di assistenza verso le vittime.

Secondo la Campagna Italiana Contro le Mine, dall’adozione della Convenzione, in tutto il mondo sono stati distrutti 45 milioni di ordigni, il commercio è stato pressoché azzerato (prima del trattato, l’Italia figurava come terzo esportatore al mondo), e molte delle terre sminate sono state convertite in terreni produttivi. Oggi i paesi aderenti sono 150, tra i non firmatari spicca la presenza di Stati Uniti, Cina, Russia, Cuba, Turchia, Egitto e Finlandia (anche se quasi tutti hanno un loro proprio programma di sminamento e assistenza).

Con l’adozione del Trattato di Ottawa, il Cile si prefissò inizialmente di bonificare l’intero suolo nazionale dalle mine entro il 2012. Al governo cileno è stata però concessa una proroga, giustificata dalle difficoltà  climatiche che complicano il lavoro degli sminatori, costretti in alcuni casi ad operare sopra i cinquemila metri d’altitudine o nei terreni per buona parte dell’anno ghiacciati nel sud del Paese.

Nel giugno del 2010 il Cile risolse la situazione lungo il confine con la Bolivia, grazie alla distruzione di oltre 23mila ordigni. Quest’anno dovrebbe terminare l’operazione di bonifica della regione di Magallanes, in prossimità  della frontiera con l’Argentina. Lo sminamento della frontiera con il Peràº, attualmente in corso, contribuisce a rafforzare i rapporti bilaterali tra i due paesi andini, in tema di flussi migratori, di promozione turistica, di lotta al contrabbando e al narcotraffico.

Andrea Dalla Palma


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