L’altra faccia dell’usato sicuro

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E NON solo perché era  e resta molto vero, ma anche e soprattutto perché quelle parole illuminano l’altra faccia del personaggio, e dunque: «Vedete, la politica finisce sempre con un dispiacere. Questo bisogna saperlo fin dall’inizio e darlo per scontato. Arriva sempre il momento in cui si sente dire: “Ma come? Io fatto questo e quello, ho ricoperto questo o quell’incarico, ho dato l’anima e adesso mi trattano così? Ecco, io vi consiglio di pensarci subito, che finisce con un dispiacere, per cui fate un buon allenamento e mettetevi tranquilli».
I ragazzi lo guardarono un po’ strano, era già  partita la sarabanda delle primarie. «Quanto a me – riprese – ho elaborato la cosa da tempo e il primo dispiacere che mi arriva non riuscirà  a turbarmi». E nell’inusitato giudizio si poteva cogliere un sovrappiù di rassegnazione e insieme un vuoto di umiltà . A riprova che i politici, in quanto uomini e tanto più in un tempo che oscura e banalizza gli ideali, sono sempre un po’ più complicati di come li raffigurano i giornali, e anche più ricchi di quanto loro stessi si lascino raffigurare nei talk-show o nelle campagne di marketing.
In questo senso, le ultime lacrime di Porta a porta completano uno stereotipo di calorosa umanità , disdegno del look e solido riformismo declinato all’insegna della concretissima bonomia emiliana, a maggior gloria di una forza tranquilla che tiene alle radici anche famigliari e pone la provincia al centro della sua vitalità . Lo stesso Bersani, mesi orsono, ha rivendicato di essere «l’usato sicuro», là  dove l’espressione automobilistica forse faceva polemico riferimento alla rottamazione invocata da Renzi, ma forse anche no.
Eppure, aprendo le cartelline di ritagli accumulatisi negli anni, si scopre qui e là  un altro Bersani, assai meno brioso del leader canterino, appassionato di musica lirica e di Vasco Rossi. Una cultura più ricercata e raffinata di quanto consentano di norma gli orizzonti del post-comunismo; una prospettiva anche esistenziale che va oltre il fanta-fraseggio auto-caricaturale che a Montecitorio, quando interveniva, ha portato il centrodestra a ritmare «Cro-zza! Cro-zza!»; un temperamento in fondo assai meno solare di quanto appaia da smorfie e sorrisi, occhiate, battute e ghiribizzi; un animo per certi versi incline anche alla meditazione filosofica con ricaduta nell’aforismo, e in questo senso il segretario del Pd reagì a Grillo che in uno dei suoi simpatici accessi l’aveva presentato come un «morto vivente». Per cui: «Noi semplici uomini siamo
quasi tutti morti, e viviamo su quel quasi».
E tuttavia viene da chiedersi cosa Bersani abbia provato quando D’Alema, durante il giuramento del suo governo, lo accolse facendogli un buffetto. E’ possibile che l’educazione cattolica, e poi gli studi storico-teologici, abbiano mischiato un po’ le carte, senza che mai le riflessioni sulla grazia o il peccato originale, riuscissero ad attenuare, anzi, un’autentica passione per il potere nella sua multiforme tentazione e rappresentazione anche di svago. Vedi l’ascesa precocissima al Salotto
Angiolillo, i coretti confindustriali dalle parti di via Veneto, l’aperitivo al De Russie prima del comizio e la più netta consapevolezza dei rapporti, il più delle volte incestuosi, che s’intrecciano fra gli equilibri politici e gli affari, annessi e connessi. Già  nel 2005 si trova traccia che Bersani presentò Penati, suo braccio destro, all’imprenditore Gavio; e anni dopo, mordicchiando il sigaro, se ne uscì: «Non riesco a capacitarmi». Nel frattempi gli sfuggì: «Si sa che gli zingari sono ladri, al mio paese quando arrivavano chiudevano tutto, ma li trattavano bene». Come dire: non è certo un moralista, ma un politico, appunto. E non suoni qui a disdoro, ma Berlusconi – come si è visto in alcuni cable usciti su Wikileaks – l’ha sempre così stimato da dire: «Vorrei uno come lui nella mia squadra». E non solo per ragioni astrologiche, essendo i due nati nello stesso giorno. In compenso Briatore gli ha fatto causa, per un botta e risposta a sfondo fiscale. E quando una volta si è sentito trattato in modo brusco da Bianca Berlinguer, le ha risposto (ma non in onda): «Questo lo vai a dire a tua sorella».
Ha un ego piuttosto forte. A Bertolaso, che l’aveva chiamato a «spalare », ha mostrato le foto di lui giovane che spalava il fango a Firenze nel 1966. E quando la Gelmini disse era uno «studente ripetente» si è presentato nell’aula della Camera con il libretto d’esami. Si definisce: «Un giovane di lungo corso». Geminello Alvi, in vena fisiognomica, ha scritto che «le forme craniche squadrate di Bersani, atavismo palese delle culture megalitiche preindoeuropee, e quella sua certa calvizie operosa da mezzadro nato fattore » lo collocano a livello anche fisico nell’area del «comunismo appenninico ». I creativi Biosi & Scibilia che anni fa curarono la sua campagna d’immagine lo rappresentarono in maniche di camicia, debitamente pelato ed «eroticamente composto». Lui chiosò: «Se è vero che vanno i calvi, bella fregatura per Berlusconi che ha speso tutti quei soldi per i capelli». Pare siano stati affissi dei manifesti con Bersani a torso nudo e assai fusto nel collegio di Fidenza. In un empito di realismo scettico ha bofonchiato una volta: «Il carisma è una cosa misteriosa». E se anche suona come una rima, o se voleva proprio essere una rima, beh, questo è Bersani, che ieri ha vinto bene le primarie.


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