Nelle eco-città  i germogli di un futuro sostenibile

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Le possibili degenerazioni della città  nel progetto del «moderno» ci sono tristemente sotto gli occhi anche in questi giorni, nel disastro molteplice di Taranto.
E invece il libro di Eleonora Fiorani Geografie dell’abitare (Lupetti, 2012, pp. 255, euro 18) riprende il filo di una riflessione necessaria, in cui il senso della fine è felicemente trattato invece come un punto di partenza, e dà  luogo a una paziente quanto appassionante mappatura di ciò che germoglia e in certi casi già  fiorisce nel mondo urbanizzato che malgrado tutto abitiamo. Proprio dal senso ampio, antropologico dell’abitare s’invita infatti a ripartire. «Abitare è la radice della condizione umana», nella duplice dimensione interiore ed esterna, capace di produrre senso del luogo, cioè istituzione di rapporti con una terra e gli altri che la abitano. Ancora, «abitare è gesto che precede la progettualità , l’organizzazione e la reificazione e l’organizzazione di oggetti artificiali in cui mettere in scena lo stare e l’agire, i ricordi e i desideri». E la forma urbana, alla prova della storia, risulta quella sempre e ancora privilegiata: dalla casa alla postmetropoli, testimonia della inesausta e specifica «impollinazione» dello spazio operata dall’uomo. 
Come dunque siamo cambiati, noi e l’abitare, o, ancora meglio, come potremmo forse ancora cambiare? La risposta è nella fitta analisi di casi emergenti nell’urbanizzazione contemporanea del mondo, in un procedimento per figure e nodi tematici, fra sguardi molteplici e riferimenti disciplinari incrociati. Scopriamo così idee di città  «ecologiche e futuribili», che incarnano un senso nuovo di immaginare il futuro, meno utopistiche e più vicine alle eterotopie di Foucault, spazi effettivamente altri: dall’Eco-Città  Compatta presentata a Bruxelles nel 2008 ad Arcosanti, la comunità  ecologica di Paolo Soleri insediata nel deserto dell’Arizona, o ancora a VEMA, città  ideale presente alla Biennale di Venezia del 2006, nel contesto di idee progettuali dinamiche, organiche, morfogenetiche, connettive. Dai temi chiave come la sostenibilità , si passa a scoprire le ecopoli galleggianti progettate in Asia, o a vedere le forme di sperimentazione possibili solo a Dubai, oltre lo scenario abituale che ne fa solo una capitale dell’iperconsumo. O ancora al capitolo dedicato agli «spazi ermafroditi», alle varie forme di reinvenzione del rapporto fra natura e cultura che riscrivono la scena urbana, dai giardini verticali di Patrick Blanc ammirati a Parigi e Madrid ai più comuni orti in terrazzo, dalla High Line di New York, riscrittura di una ferrovia dismessa in forma di splendido giardino di quartiere, fino ai grattacieli verdi. In questo contesto particolare attenzione, dunque, per il connubio verde e architettura – e cioè, interpretiamo noi, per il progetto di paesaggio, nuovo campo di sperimentazione adatto ad ogni scala. È tutto un inno al riuso, alla mobilità  dolce, alla manutenzione volontaria, a un abitare intelligente che sembra quasi a portata di mano. Giusto a non voler vedere, per contrasto, la triste volgarità  dei giochi per bambini appaltati in tutta Roma negli ultimi anni.
La nota conclusiva sull’etica e la decrescita iscrive questa mappatura nelle prospettive di «una cultura etica come etica di frontiera, etica dell’alterità », che tenga conto dei mutamenti epocali che invitano a riconoscere margini e periferie non solo nei luoghi deputati dei mondi «terzi», ma ormai anche nel cuore delle nostre città , spazio di pluriappartenenze e multifocalità , crogiolo di una potenziale identità  di frontiera, che va però riconosciuta e attivata. In un momento di crisi di sistema, Fiorani si ritrova nelle idee di Serge Latouche sulla decrescita, come progetto politico di sostanziale demercificazione della società  e di riorientamento dei suoi valori, verso la decolonizzazione, la rilocalizzazione, una nuova visione del mondo. Solo in una visione globale infatti, in una prospettiva larga di mutamento strutturale, anche le iniziative locali, le forme di creatività  abitativa e di economia solidale possono sviluppare il loro potenziale secondo logiche partecipative delle comunità  e dei territori, senza restare quadri da esposizione e fragili velleità . 
Arricchisce ancora il libro un capitolo iconografico autonomo di Diego Rizzo, che dialoga con il testo senza illustrarlo, una galleria fotografica ragionata di luoghi, uomini, opere, monumenti, scelti intorno ad alcuni nuclei tematici di grande suggestione – labirinti, piante-ritratto di città , particolari di architetture antiche, opere d’arte contemporanee – che stabiliscono a rete interazioni, tracciati e aperture significative. Un percorso ricco e complesso, quindi, che alla fine converge sulla forza costruttiva delle idee e delle prospettive. Il che dimostra come per cambiare e tornare ad abitare poeticamente il mondo ci voglia molta più semiotica che non realismo, e cioè lavoro e riflessione sul senso e sulle tante forme, da adottare e da far fruttare, che ancora ci riserva l’efficacia simbolica.


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