Poeti e senzatetto a Pietroburgo

Loading

Esce per la Felici Editore Il museo dei fetidi, un volumetto di prose del giovane scrittore pietroburghese Andrej Astvacaturov (pp. 390, euro 13,50). Giulia Marcucci, che firma la vivace traduzione (per la quale giovedì 6 dicembre riceverà  il premio «Russia-Italia. Attraverso i Secoli» nella categoria esordienti) accompagna al testo una lunga nota nella quale riporta numerosi e importanti sottotesti culturali e citazioni che il testo racchiude. Nell’originale il titolo, come spiega nell’introduzione Galina Denissova, si costruisce su un gioco di parole. Esso è infatti Skuns-kamera, che rimanda alla Kunstkamera, il museo di antropologia e etnografia voluto da Pietro il Grande, che raccoglie una famosa collezione di mostruosità  naturali ed è ancora oggi meta obbligata dei visitatori di Pietroburgo. In russo il termine skuns indica una specie di puzzola, e il libro di prose si qualifica come una galleria di odori, che segnano i luoghi della memoria dell’autore (un capitoletto del libro è costruito proprio sull’equivoco terminologico che contrassegna il titolo dell’opera). Il museo dei fetidi si presenta come una serie di brevi narrazioni (settanta in tutto) nelle quali l’autore tratteggia singoli quadri della sua vita a Pietroburgo tra infanzia e adolescenza. È questo il secondo volume di prose di Astvacaturov, il primo del 2009 si intitolava La gente in nudo, e sarà  seguito da un terzo, ancora da scrivere, nella tradizione russa delle trilogie «infanzia-adolescenza-giovinezza».
Specialista di letteratura anglo-americana (insegna all’università  di Pietroburgo), Astvacaturov è nipote di un celebre filologo leningradese, Viktor Zhirmunskij, autore di notevoli contributi nello studio della letteratura russa (fu tra i primi a scrivere su Anna Achmatova e l’acmeismo), nella comparativistica e nella teoria della letteratura e del verso. Per questo motivo, in quanto «figlio d’arte», Astvacaturov viene spesso chiamato scherzosamente «zhirmunoide», ma sembra portare con leggera disinvoltura il peso di questo retaggio anche all’interno delle mura dell’ateneo pietroburghese.
Tanto più disinvolto e leggero è il suo essere narratore, capace di riprodurre con rimandi quasi impalpabili l’atmosfera della Leningrado dell’infanzia, quella degli ultimi decrepiti spasmi del sistema sovietico in una città  che aveva in tempi recenti vissuto prima i traumi delle repressioni staliniane (dalla deportazione delle famiglie di origine nobiliare al delitto di Kirov, alle purghe del 1937) e la tragedia dell’assedio. Il museo dei fetidi è il tentativo di riprodurre nella sua quotidiana banalità , ma non senza slanci di improvvisa nostalgia, il quadro di una città  decaduta e languente, ma pur sempre viva nella sua ferita bellezza, quasi a proporre effetti cacofonici e maleodoranti nel contrasto tra la vanità  dei temi trattati e la grandezza dello sfondo. Ecco dunque attraverso gli occhi ora di un bambino, ora di un adolescente, ora di un adulto che si volta indietro, squarci della vita dell’homo sovieticus o appena post-sovieticus con tutte le piccole grandi assurdità  cui l’ordine di vita del socialismo reale sottoponeva i propri cittadini nelle diverse età  della vita. Risaltano così, ad esempio, le strane regole cui sottostava il commercio nella Russia sovietica e poi negli anni dell’improvvisata liberalizzazione, il mondo dei venditori e dei commessi (un macellaio è il sosia del poeta Iosif Brodskij), il mondo dell’istruzione e dei conformismi ideologici prima e della crassa ignoranza poi (uno studente crede Belkin uno scrittore veramente esistito e nulla conosce del Cavaliere di bronzo confondendo il povero Eugenio con Onegin), il mondo dell’infanzia sovietica, la vita dei casamenti, i bassifondi della città  in un’oscurità  tagliata da improvvisi lampi di luce boreale, il testo dei graffiti cosi somiglianti a quelli di un intero paese votato alla protesta soffocata in gola e così originalmente pietroburghesi… È la Pietroburgo dei poeti e dell’intelligencija a stretto contatto con il mondo delle bettole e degli homeless (in russo bomzhi), la Pietroburgo dei quartieri di periferia e, d’un tratto, della severa armonia dei suoi celebri palazzi. Ma quello che più colpisce è il senso umanamente genuino dei personaggi ricavati dalla memoria, la loro vivida concretezza in una luce che varia dal fisiologismo all’iperreale.
Il carattere letterario del libro è indiscusso, la biografia di studioso di letteratura angloamericana dell’autore avrà  spinto molti critici a individuare vari modelli letterari di riferimento. Per noi è importante l’eleganza del dettato narrativo in una forma nella quale l’intreccio solo si intravede e i criteri spazio-temporali si combinano all’esigenza di una partecipazione attenta e creativa del lettore. E infatti il libro si legge d’un fiato, con il piacere di una riscoperta, per così dire, tra antropologia e archeologia di un mondo che non esiste più, ma che vive ancora pienamente nella coscienza di un intero popolo ed è facilmente riconoscibile da chiunque sia un assiduo lettore di prosa russa.


Related Articles

Altri partiti e un’altra Rete Idee per la Democrazia 3.0

Loading

La partecipazione digitale oltre i rischi plebiscitari

Lo strano caso dei tre profeti Quando la scienza diventa poesia

Loading

Da Freud a Sacks, gli studi psicologici sopravvivono come letteratura

L’unica condizione che produce il presente

Loading

«Crisi. Per un lessico della modernità » di Reinhart Koselleck Finalmente tradotta una delle parole chiave che il filosofo tedesco aveva inserito in un lessico. Un progetto ambizioso che prova a interpretare le tensioni e i conflitti che caratterizzano la società  capitalista

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment