Assad resta isolato, ma non all’interno

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A sette mesi dall’ultimo discorso pubblico, il presidente Bashar al-Assad ha parlato domenica, dal Centro per la cultura e le arti di Damasco, al popolo siriano e al mondo con in mano il suo piano di pace. Un discorso vuoto, secondo la comunità  internazionale; il primo passo per uscire dalla guerra civile, secondo Damasco. Certo il presidente ha mostrato la debolezza in cui il suo regime annaspa da quasi due anni: poche le proposte concrete del suo personale piano di pace, che escludono quasi del tutto le opposizioni. Ma è una debolezza solo parziale: isolato dalla comunità  internazionale e assediato dalle opposizioni armate, Assad gode ancora del consenso interno necessario a rimanere al potere dopo 22 mesi di guerra civile. La popolazione civile è spaccata in due e l’esercito governativo, nonostante alcune significative defezioni, resta al fianco del regime alawita.
Bashar al-Assad ha chiesto che si apra una conferenza di riconciliazione nazionale a cui partecipino «tutti quelli che non hanno tradito la Siria» e che conduca alla creazione di un governo di unità  nazionale e di un referendum su una nuova Costituzione: «Il primo passo verso una soluzione politica – ha detto – è lo stop ai finanziamenti e al trasferimento di armi da parte dei poteri regionali alle opposizioni, la fine delle operazioni terroristiche e del controllo dei confini. Non dialogheremo con i fantocci controllati dall’Occidente». Ovvero, con la stragrande maggioranza dei gruppi di opposizione al regime da poco riuniti sotto l’ombrello del Coalizione Nazionale Siriana: molti governi arabi e occidentali hanno riconosciuto la Coalizione come unico rappresentante legittimo del popolo siriano e hanno posto come condizione indispensabile alla soluzione diplomatica del conflitto la caduta del regime alawita.
«Il fatto che non abbiamo ancora trovato un partner per il dialogo non significa che non siamo interessati ad una soluzione politica», ha aggiunto Assad, che ha definito il conflitto siriano non come una guerra tra governo e opposizioni, ma come la lotta tra la Nazione e i suoi nemici, tra i quali «jihadisti e membri di al Qaeda». Da cui l’appello ad una «guerra popolare per difendere la Nazione», una mobilitazione nazionale contro le opposizioni armate, colpevoli secondo Assad di obbedire ai diktat occidentali, uccidendo l’indipendenza di Damasco.
Immediate le reazioni della comunità  internazionale e della Coalizione Nazionale Siriana che, con le parole di Louay Safi, ha rigettato la proposta di dialogo di Assad: «Retorica vuota. Il presidente non ha offerto le sue dimissioni, precondizione per qualsiasi negoziato… vuole lo scontro con le opposizioni e spera di restare al potere per i prossimi 40 anni». Sulla stessa linea i governi europei e l’amministrazione di Washington. «Cercheremo con attenzione qualcosa di nuovo nel discorso di Assad – ha dichiarato per la Ue, Catherine Ashton – ma manteniamo comunque la nostra posizione: Assad deve farsi da parte». Da Washington, la portavoce del Dipartimento di Stato, Victoria Nuland, ha definito l’iniziativa «estranea alla realtà  dei fatti, un altro tentativo da parte del regime di rimanere al potere». Va oltre il presidente egiziano Morsi che in un’intervista alla Cnn non solo chiede la caduta di Assad, ma anche che venga processato per crimini di guerra contro il suo stesso popolo. L’altro nemico numero uno di Damasco, la Turchia, definisce il piano di pace pieno di «promesse vuote, fatte da un presidente che non rappresenta più la Siria». Unica voce fuori dal coro quella iraniana, indefesso alleato del regime. Dopo aver proposto la scorsa settimana un piano di pace in sei punti per risolvere la crisi, domenica il ministro degli esteri Ali Akbar Salehi ha accolto bene la proposta di Damasco.
Assad, a livello internazionale, è solo. Ma non è solo in Siria, come ha scritto in questi giorni Robert Fisk sulle pagine dell’Independent: a 22 mesi dall’inizio della guerra civile, il presidente gode ancora di consenso e appoggio da parte dell’esercito, composto anche di sunniti, e di parte della popolazione. Un appoggio che permette ad Assad di resistere e respingere in parte gli attacchi dei ribelli sia a Damasco che a Nord, dove i gruppi armati di opposizione sono più forti. E ieri le truppe governative hanno bloccato un attacco dei ribelli contro una scuola di polizia ad Aleppo. Una vittoria che giunge dopo importanti conquiste delle opposizioni che il mese scorso hanno occupato basi militari a nord e ad est.


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