Il Pd vara le liste, montiani alla porta

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ROMA — Per i montiani non c’è più posto nel Pd. Bersani non ha perdonato quei parlamentari riformisti, un tempo vicini a Veltroni, che hanno lanciato appelli in favore dell’agenda del premier. E li ha lasciati fuori dalle liste, salvando soltanto Giorgio Tonini. Tra gli esclusi eccellenti delle diverse aree ci sono Stefano Ceccanti, Salvatore Vassallo, Andrea Sarubbi, Lanfranco Tenaglia, Alessandro Maran, e c’è Roberto Reggi, già  braccio destro di Renzi. Al senatore lettiano Marco Stradiotto e ad Anna Rita Fioroni è stato promesso con un’antica formula uno strapuntino al governo: «Ci ricorderemo di te…».
Come da tradizione, è stato l’assalto alla diligenza. Pressioni, esclusioni a sorpresa e ripescaggi insperati (Giorgio Gori è in uno scomodo 23° posto). Chi si è visto scavalcare da peones e portaborse — pur avendo vinto le primarie — e chi ha tentato di farsi infilare nel listino dei garantiti, alla faccia delle regole. È il caso del medico Giuseppe Galasso, che si è dimesso da sindaco di Avellino per correre alle primarie, le ha perse e però, grazie ai buoni uffici di Dario Franceschini, sperava di strappare un posticino in Piemonte…
Stabiliti i nomi, molte posizioni ancora ballano. La guerra dei seggi democratici si è chiusa ufficialmente ieri sera, con l’approvazione all’unanimità  delle liste da parte del «comitatone» elettorale e poi con il via libera della direzione nazionale. «Monti? Ho fatto più riforme io», si è lanciato in campagna elettorale Bersani, che non ha voluto in lista nessun ministro. Il segretario si sente «vincente», dice che il Pd è «la lepre da inseguire» e giura di non temere il pareggio al Senato. Alla fine approvano tutti, anche Marco Follini che pure si è tirato fuori.
Il malumore degli esclusi, però, è forte. Ceccanti prende atto «con amarezza e stupore» che «non è servito essere al quinto posto per produttività  complessiva dei senatori». E mentre tratta con il centro, denuncia di essere stato giudicato «incompatibile» per aver sottolineato «il dovere di continuità  con l’agenda Monti». Se i montiani sono stati accompagnati alla porta, altri sono stati oggetto di un pressing inatteso. È successo alla soglia dei novant’anni a Sergio Zavoli, che Bersani ha supplicato di candidarsi, per il suo curriculum immacolato, in una Campania provata dalla criminalità  e dagli scandali. Mentre in Puglia il duello fra territorio e vertice è stato così aspro che il segretario regionale Sergio Blasi ha lasciato l’incarico, contro l’assalto dei paracadutati dal Nord: «Tradito lo spirito delle primarie», ha lamentato alle 2.45 di notte nella lettera di dimissioni (poi ritirata). Si dice non abbia gradito l’imposizione della Finocchiaro capolista al Senato, ma soprattutto l’insistenza con cui Franceschini ha chiesto un posto blindato per il «suo» Alberto Losacco alla Camera, così blindato che puntava a scavalcare il rettore di Bari.
Salvati in extremis il vicepresidente del Senato Vannino Chiti, infaticabile estensore di messaggi di cordoglio per conto del partito e la deputata gay Paola Concia, spinta dagli appelli delle associazioni. L’attivista lesbica Cristiana Alicata, renziana, è invece rimasta fuori: il Pd del Lazio non l’ha voluta e lei, per non farsi paracadutare altrove, ha fatto un passo indietro. Gesto nobile anche da Enzo Bianco, che ha reso noto quanto segue: «Il Pd ha chiesto al presidente dei Liberal Pd di far parte della lista delle personalità  di maggior rilievo, ma il senatore ha declinato l’invito…». Bersani ha mantenuto la promessa di una «rivoluzione rosa», anzi a sentire tanti esclusi (maschi) il segretario è andato oltre, visto che il 40% degli eletti saranno donne. «Un risultato straordinario», esulta Enrico Letta. Il ricambio è forte, al Senato otto su dieci saranno volti nuovi. Tanti i cattolici, alcuni dei quali strappati alla concorrenza montiana. Su suggerimento di Beppe Fioroni, Bersani ha chiamato nel Pd, come calamita di voti democristiani, la professoressa Flavia Nardelli: segretario generale dell’Istituto Sturzo nonché figlia dell’ex leader della Dc, Flaminio Piccoli.
Per licenziare liste molto competitive con quelle di Monti, affollate di docenti, medici e giornalisti — ci sono Mucchetti e Mineo, ma non Severgnini — Bersani lascia a casa qualcuno dei suoi: dal portavoce Stefano Di Traglia alla direttrice di Youdem tv, Chiara Geloni. Il segretario lombardo Maurizio Martina rinuncia per dedicarsi al Pirellone e incassa la lode di Bersani. In compenso il leader mette come terzo nel Lazio il fedelissimo responsabile economico Stefano Fassina, di cui si parla come possibile capogruppo.


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