La richiesta di una fase nuova: i numeri non possono dominare tutto

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Prima della fine del mandato, possibile una visita della regina Elisabetta: un riconoscimento al lavoro del Presidente La capacità  di condivisione Per il capo dello Stato è ora importante una «capacità  di condivisione umana e morale, umana e sociale» L’insegnamento di Einaudi Nelle parole di Napolitano un riferimento alle «Lezioni di politica sociale» tenute da Einaudi, esule in Svizzera nel ’44 «Non possiamo esser dominati, più o meno forzosamente e angosciosamente, soltanto dai numeri, dall’andamento della Borsa e dai picchi altalenanti dello spread… la visione del Paese deve essere ben altrimenti comprensiva e deve riflettere anche una capacità  di condivisione umana e morale, umana e sociale».
Ecco il ragionamento sul quale si è a lungo interrogato nei giorni scorsi Giorgio Napolitano, mentre scriveva il suo messaggio di fine anno, l’ultimo da capo dello Stato. Un assillo, la «sofferenza» degli italiani, il cui racconto è sintetizzato nelle migliaia di lettere recapitate ogni giorno al Quirinale fino a diventare il cuore del monologo andato in onda lunedì sera in diretta tv. Monologo che richiamava l’esigenza di «un’attenzione consapevole e non formale alla realtà  e alle attese» degli italiani, specie i più deboli e segnati dai postumi della crisi.
Passaggi che qualcuno ha voluto leggere come un’obliqua critica a Mario Monti, accusato appunto di essere «solo un uomo dei numeri» e dunque prigioniero di una persistente insensibilità  sociale, e non a caso proprio così raffigurato dalla satira (vedi, per capirci, il disumano premier-robot messo in scena da Maurizio Crozza). Interpretazioni fuorvianti, anche perché a quelle considerazioni il Presidente ha aggiunto diversi giudizi positivi sul governo e sui successi ottenuti sul fronte dei conti pubblici, dello spread e del «ritorno della fiducia» verso il nostro Paese. Certo, il problema dei conti è serio e non va sottovalutato, ripete da tempo Napolitano. Basta pensare ai miliardi di interessi («oggi sono 85 all’anno», ha sottolineato, domani chissà ) che paghiamo per onorare il debito pubblico nazionale. Ma adesso, sembra il suo retropensiero, dopo le «dure prove» affrontate, bisogna passare a una fase nuova.
Al di là  delle polemiche che ci avvicinano al voto, quei cenni fanno semmai pensare alle Lezioni di politica sociale tenute da Luigi Einaudi, esule in Svizzera nel 1944. Nel senso che pare ispirarli la stessa ansia di veder costruito (o, meglio, ricostruito) un sostenibile welfare. E lo dimostrano altri richiami del capo dello Stato. A partire da quello sull’esigenza di «distribuire meglio, e subito, i pesi dello sforzo di risanamento indispensabile, definendo in modo meno indiscriminato e automatico sia gli inasprimenti fiscali sia i tagli alla spesa pubblica». Non è comunque questo l’unico snodo del messaggio al Paese che si prestava a commenti in chiave anti Monti. C’è stato infatti chi ha creduto di cogliere un’altra frecciata contro il premier quando, inquadrando la sua scelta di «salire in politica», Napolitano ha precisato che «nel nostro ordinamento non c’è l’elezione diretta del primo ministro». Quasi che con quelle parole sottintendesse una diffida a far inserire il nome di Monti nei simboli e nelle liste destinate ad appoggiarlo.
La realtà  è più semplice, e persino banale. Vuole essere un secco promemoria. L’invito, cioè, a uscire tutti dalle ambiguità  e a «rispettare la lettera dell’articolo 92 della Costituzione», là  dove si puntualizza che è il presidente della Repubblica a «nominare il presidente del Consiglio». Non si tratta della rivendicazione di una prerogativa, per qualcuno magari bisbetica. Piuttosto dell’ammonimento «a non ritenere superato o modificato attraverso un meccanismo elettorale» quanto stabilisce la nostra Magna Charta.
Per fortuna (e anche su un invito mosso a suo tempo dal Quirinale) tra le sgangheratezze del Porcellum risulta almeno modificato il comma in vigore con il sistema precedente, nel quale si ammetteva la compromettente possibilità  di indicare il «candidato premier» nelle schede per il voto. Quel comma adesso contempla l’espressione di «candidato della coalizione», non vincolante per il Colle e serve a indicare una figura di collegamento tra diversi partiti e liste, uniti su un programma comune e orientati su un preciso candidato che ne è il capo. Solo questo, a dispetto del rumore e degli equivoci ingenerati negli ultimi 18 anni e per i quali il presidente della Repubblica avrebbe le mani legate, dinanzi al responso popolare. Non è così, e Napolitano tiene a ribadirlo. Per far comprendere che la sua decisione (la sua ultima, da regista della crisi) nascerà  «liberamente» dalla combinazione tra l’esito del voto e le consultazioni con i partiti. Sarà  in quella fase che verificherà  quali alleanze si formeranno, quali coalizioni, con quali prospettive di saldezza al governo. L’affidamento dell’incarico avverrà , insomma, senza che nessuno possa considerarsi pre-investito, senza condizionamenti e senza automatismi.
Ma c’è un’altra questione oggetto di perplessità  e doppie letture, nel discorso della notte di San Silvestro. La non risposta del presidente a Silvio Berlusconi, che poco prima aveva rilanciato la tesi della «congiura» per spodestarlo da Palazzo Chigi, minacciando di sottoporre a una commissione d’inchiesta il ruolo svolto da certi poteri, e non escludendo il Quirinale.
Ora, poiché a volte il non detto pesa più di ciò che viene detto, perché Napolitano non ha risposto a un simile attacco? Per non scendere nei quotidiani battibecchi di cui si alimenta questa nostra stagione che gli analisti americani chiamano di hyperpartisanship, quasi di primitivismo politico?
Il silenzio del capo dello Stato non è tanto giustificabile dall’ansia di non scendere nella rissa quanto di lasciar cadere «un’assurdità ». Si sa perfettamente che, quando il Cavaliere diede le dimissioni, la delegazione del Pdl ricevuta sul Colle non propose a Napolitano alcun nome diverso da quello che suggerì lui stesso: Mario Monti.
Gli emissari di Berlusconi non si sbracciarono in applausi, per quella scelta. Ma l’unica alternativa che avevano era lo scioglimento immediato delle Camere (e il presidente l’ha detto «fino alla noia» che sarebbe stato «un terribile passo falso»), con una pessima performance alle urne, come anticipavano i sondaggi.
Tra tante amarezze affiorate nel denso messaggio al Paese e un po’ esorcizzate con un invito alla «fiducia» nonostante tutto, una notizia però rincuora il capo dello Stato in queste ore. Prima che completi il suo settennato dovrebbe giungere a Roma la regina Elisabetta. Una visita privata, alla cui preparazione stanno lavorando l’ambasciata inglese a Roma e il consigliere diplomatico del Colle. Un saluto, il suo, che suonerà  anche come riconoscimento all’opera di «rappresentanza» dell’Italia svolto da Giorgio Napolitano.


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