Battaglia alla periferia di Damasco, l’internazionale jihadista contro Assad

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I morti sono stati decine anche ieri ai quali si aggiungono le 54 vittime di un attentato ad una fermata d’autobus nei pressi di una fabbrica ad Hama. Nel nord, a Safireh, i jihadisti del Fronte al Nusra hanno ucciso sette soldati e preso il controllo di un posto di blocco governativo dopo aver perduto un centinaio di uomini nei combattimenti dei tre giorni precedenti, stando alle informazioni raccolte dall’Osservatorio siriano per i diritti umani. I jihadisti caduti vengono prontamente sostituiti grazie al continuo arrivo in Siria di mujahedin salafiti provenienti da Egitto, Libia e molti altri paesi, anche non arabi, decisi ad abbattere il potere del presidente alawita (sciita) Bashar Assad. Giovedì scorso il capo dell’intelligence dei Paesi Bassi, Rob Bertholee, ha rivelato che dozzine di cittadini olandesi combattono in Siria assieme ai jihadisti. Il quadro della situazione sul terreno è sempre drammatico ma Bashar Assad ostenta sicurezza, forte del sostegno che gli assicurano i suoi principali alleati, Iran e Russia.
Dichiarazioni di appoggio indiretto gli sono giunte ieri anche dal premier iracheno Nour al Maliki che al giornale Asharq al-Awsat ha detto che il presidente siriano può resistere almeno altri due anni all’attacco delle forze ribelli. Allo scopo di segnalare la vitalità  del regime, anche sui temi della disastrata economia del paese, Assad ieri ha deciso un rimpasto di governo con la nomina di sei nuovi ministri, senza apportare però cambiamenti ai dicasteri chiave degli Esteri, della Difesa e dell’Interno. I nuovi incarichi riguardano l’economia, il lavoro e gli affari sociali.
 Allo stesso tempo Assad ha fatto conoscere indirettamente, attraverso il ministro dell’informazione, la sua disponibilità  ad accogliere in parte la proposta di dialogo che il 1 febbraio Moaz al Khatib, presidente Coalizione nazionale siriana dell’opposizione Omran al-Zohbi, aveva girato al regime, precisando però di voler parlare solo al vice presidente Farouk a-Shara. «La porta è aperta, il tavolo dei negoziati è lì, pronto ad accogliere ogni siriano che voglia dialogare con noi – ha detto alZohbi -, un dialogo senza condizioni. Non è dialogo se qualcuno viene da noi e dice: voglio parlare di questa questione o vi ucciderò». Assad non vuole in alcun modo essere escluso da eventuali (e al momento improbabili) negoziati sul futuro della Siria.
 Non sta a guardare Washington, schierata con i ribelli. Il nuovo Segretario di stato John Kerry ha annunciato l’intenzione dell’Amministrazione Usa di fare passi per giungere ad una soluzione in Siria senza però precisare di quale tipo e se gli Stati Uniti armeranno ufficialmente i ribelli (già  lo farebbero, in misura limitata, in segreto). A metà  settimana si è appreso, dal Segretario alla difesa uscente Leon Panetta, che la Casa Bianca ha respinto un piano di sostegno militare diretto all’Esl. Intanto tornano in primo piano le preoccupazioni delle comunità  cristiane locali con l’arrivo ieri a Damasco del patriarca della Chiesa cattolica maronita libanese, Beshara al Rahi, che oggi parteciperà  alla cerimonia di insediamento del nuovo patriarca greco-ortodosso del Levante e di Antiochia, Youhanna al Yaziji.
 È la prima visita di un patriarca maronita libanese in Siria dall’indipendenza del Paese dei Cedri nel 1943, segno di una solidarietà  crescente fra le varie Chiese alla luce della crisi in Siria dove la minoranza cristiana non nasconde i suoi timori che la caduta del regime laico di Assad lasci il posto agli islamisti sunniti più radicali. Il quotidiano An Nahar non ha escluso che i religiosi possano incontrare proprio Assad e Fares Soaid, del movimento libanese “14 Marzo”, una coalizione di forze politiche antisiriane dominata dal partito “Mustaqbal” dell’ex premier sunnita Saad Hariri, ha minacciosamente avvertito che un meeting del genere «potrebbe mettere in pericolo i cristiani»


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