Ingroia divide sinistra e magistratura

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ROMA — Ora basta. «Bisogna chiudere questa pagina», dichiara Antonio Ingroia, leader di Rivoluzione Civile, sperando che cessino le polemiche per la citazione di Giovanni Falcone e delle critiche subite dai colleghi quando lasciò la procura di Palermo. Ma da «equivoco» o «manipolazione» — come l’ha definita lo stesso Ingroia, opponendosi a chi come Ilda Boccassini gli rinfacciava un paragone «inaccettabile» — la vicenda si è trasformata in questione politica che divide i cuori nella magistratura e nella sinistra.
«Troviamo inopportuni i richiami ai nomi di Falcone e Borsellino, sono patrimonio di tutti, del Paese e della legalità », precisa Rodolfo Sabelli presidente dell’Anm, invitando ad «evitare strumentalizzazioni». «Non ci devono essere polemiche tra magistrati. Io, del resto, ho risposto solo a chi mi ha attaccato», ammette Ingroia e parla d’altro. Ma c’è chi continua, come Nichi Vendola («sgradevole strumentalizzare l’antimafia»). E chi va oltre. Europa titola sullo «sfascio del partito dei giudici». E il Manifesto censura «il gioco al massacro tra Vendola e Ingroia» e «la sinistra autolesionista che si esibisce nella sceneggiata da talk-show». Valentino Parlato avverte: «Queste polemiche sono lo specchio della crisi grave che investe la sinistra oggi: stanno litigando danneggiandosi reciprocamente. La vera crisi è di analisi. Marx fece il Manifesto del partito comunista, ma per quanto studiò? Le liti tra Bersani, Ingroia, Vendola, nascono perché ognuno si aggancia alla situazione contingente. Per questo vengono tirati in mezzo anche Falcone e Borsellino. Purtroppo la cura non ce l’ho, ma ne ho viste tante in più di 80 anni e sento che la malattia è molto grave». Per Gerardo D’Ambrosio, ex del Pool di Milano e senatore Pd, «non c’è mai stato un partito dei giudici, quindi dov’è che si spacca? C’è stato un battibecco fra due magistrati fra i quali, evidentemente, non corre buon sangue — spiega —. E poi candidarsi è una cosa un po’ diversa dall’andare al ministero a creare la superprocura con cui Falcone avrebbe proseguito la lotta alla mafia». «Certo — aggiunge — obiettivo della politica è stato spesso difendere i potenti. Anche intervenendo con leggi, come quella contro le intercettazioni a cui abbiamo resistito perché eravamo diversi magistrati, ora devo constatare purtroppo che ne sono stati ricandidati ben pochi. Ma per la legalità  non si fanno rivoluzioni: si applica». Anche per D’Ambrosio, però, «Ingroia viene vissuto con fastidio per il fatto che si presenta al Senato dove il Pd è in bilico. E magari lo fa perdere nelle 4 regioni in forse». Anna Finocchiaro, presidente del Pd al Senato, invitando a non «far campagna elettorale sulla memoria di personalità  che tanto hanno dato al Paese», un po’ lo dice: «Ingroia sa qual è stato il ruolo negativo del centrodestra. Chi ha a cuore la giustizia deve evitare il ritorno suo e di Berlusconi. Per questo penso che Ingroia, a presentarsi al Senato in Lombardia, compia un errore». Per Donatella Ferranti (Pd), «Ingroia non può pensare di essere il più legalitario». Ne è convinto anche Pino Arlacchi, eurodeputato Pd, studioso di mafia: «Il fastidio della Boccassini nascondeva un giudizio preciso sull’operato di Ingroia a Palermo che in molti condividiamo. È stato un pm mediocre, proiettato in politica dai media che ne hanno fatto un’icona. Il paragone è sproporzionato. Sono lontani anni luce. Di lui in 18 anni nè Falcone, nè Borsellino mi hanno mai parlato. Il problema è che fa politica come faceva le inchieste». «Non si è paragonato a Falcone — insiste Antonio Di Pietro — era un discorso esemplificativo di una critica ingiusta che si fa ai magistrati che scelgono un’altra via. Un equivoco».
Virginia Piccolillo


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