«Autogrill, te la vedrai con noi»

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ROMA. La paura si diffonde tra i dipendenti Autogrill. Temono di dover affrontare una battaglia impari, contro quello che rappresenta oggi il primo gruppo al mondo di ristorazione in viaggio. Un colosso che gestisce 5300 punti vendita in 38 paesi, e dà  lavoro a circa 62.800 persone. Oltre 9500 delle quali si trovano in Italia, sparse su 375 locali. E sono proprio loro, adesso, a sentirsi esposti, come per tanti mesi è accaduto a quelli della Fiat: temono che la multinazionale controllata dai Benetton voglia sempre più disimpegnarsi dall’Italia e investire all’estero, visto che quello che un tempo era un monopolio di fatto della ristorazione autostradale, oggi deve fare i conti con la concorrenza, Riducendo i margini.
E così sono partiti i 140 licenziamenti annunciati due giorni fa, di cui ha dato notizia il manifesto, e che hanno applicato un puro metodo «marchionniano». Innanzitutto nella forma: si dispongono i licenziamenti, ma offrendo a fronte un «patto» – proposto a ogni singolo lavoratore – per conservare il posto. Dovrà  firmare una «dichiarazione di disponibilità » al «Programma alternativo ai licenziamenti» – definito peraltro «volontario» – in cui accetta il trasferimento in un altro locale entro la distanza di 50 chilometri, ma soprattutto rinuncia al suo monte ore (spesso di 40 ore settimanali) per accettare un part-time di 20. Precipitando da salari di 1000-1200 euro al mese (fino ai 1400 base per i manager, anche loro tra i licenziandi) alla cifra del tutto insostenibile di 500-600.
Va ricordato che i due terzi dei dipendenti Autogrill italiani, cioè oltre 6 mila addetti dalla tipica uniforme con la «A baffuta», sono donne: e spesso sono mamme, in diversi casi magari anche separate dal marito e con figli a carico. Ieri al coordinamento straordinario convocato dalla Filcams Cgil a Roma la preoccupazione era palpabile. E sono intervenute anche diverse delegate.
«Abbiamo sempre cercato un dialogo con l’azienda – spiega una di loro, dall’area del Lazio – Negli anni scorsi, per gestire i flussi di clientela, abbiamo dato disponibilità  a lavorare in alcuni periodi e in altri a rimanere a casa, a paga costante: così come ci si era accordati alla Upim. Ipotesi rifiutata. Allo stesso modo, si sono chieste aspettative o riduzioni di orario per motivi familiari. Rifiutati. E ora, il paradosso è che ci vogliono imporre dei licenziamenti con una soluzione “preconfezionata”, in cui decidono tutto loro».
La preoccupazione, come dice un’altra lavoratrice, è che sia «solo l’inizio»: «Poi ricominceranno a tagliare nelle città  e nei centri commerciali, nelle stazioni e negli aeroporti. Senza contare che tra il 2013 e il 2014 vanno in scadenza molte concessioni autostradali. Quindi forse vogliono “alleggerire” i locali per liberarsene con maggiore facilità ».
L’azienda, a differenza dei licenziamenti decisi lo scorso anno, questa volta ha trovato un mezzo più sottile: ha fornito un elenco di locali – e dovranno essere solo quelli – pronti a recepire chi accetterà  di tagliarsi l’orario a 20 ore. Quindi non è la violenza di un licenziamento in tronco, ma comunque pone i lavoratori di fronte a un bivio, un po’ come lo fu il referendum di Marchionne a Pomigliano: o accetti le mie condizioni, a perdere, o resti a casa. E in tutto questo, il sindacato, rischia di essere scavalcato: la «dichiarazione di responsabilità » pone il lavoratore in una condizione di totale solitudine, davanti al form su Internet che l’azienda ha già  predisposto e messo on line. E aspetta una scadenza entro cui il «sì» dovrà  arrivare: il 21 aprile. Chi non firma, nelle sue intenzioni, è fuori.
Il sindacato però non intende arrendersi e cerca di tenere insieme tutti i locali: «Dobbiamo far capire a tutti i lavoratori che non sono interessati solo i 140 licenziandi – dice un delegato di Ferrara – Ma lo sono tutti. E siccome non siamo tutti riuniti in una fabbrica, ma divisi in decine di piccoli e medi locali, dobbiamo darci da fare per comunicare».
«Dobbiamo tornare a fare le assemblee, nei luoghi di lavoro, spiegare questo inganno – dice una lavoratrice romana che nel 2013 compie 40 anni di anzianità  in Autogrill – Va bene che abbiamo il blazer, il giaccone firmato e l’Ipad. Ma il sindacato è lotta, stare insieme, farci vedere». «C’è l’esigenza di fare notizia, perché la tv vede solo Ilva e Fiat – dice una Rsu del Chianti – Io sono disponibile anche a mettermi in mezzo all’autostrada, a bloccare le macchine, e che mi arrestino pure».
Il problema sono i dati forniti da Autogrill. Non è che il sindacato non creda e non veda la crisi, anzi. Si rende conto che non solo il traffico, ma anche la spesa del singolo cliente si è abbassata. Quindi c’è «disponibilità  a un confronto – dice Fabrizio Russo, Filcams nazionale – Dovrà  essere unitario, con Cisl e Uil, e togliendo dal tavolo licenziamenti e “Proposta” dell’azienda».
I dati però spesso non combaciano o sono contraddittori. In alcuni punti vendita risulterebbero dichiarate più unità  di quelle in effetti in servizio, e soprattutto non si tiene conto di una evidenza macroscopica: il fatto che, nonostante la crisi del 2012, per tutto l’anno sono stati utilizzati i contratti a termine e le ore di straordinario e supplementare, un po’ ovunque, spesso già  preventivate negli orari affissi in bacheca. «Un esempio per tutti? – dice Giorgio Ortolani, Filcams Milano – Secondo i dati fornitici dall’azienda, nel milanese da gennaio a novembre 2012 sono stati attivati 131 lavoratori a termine su 1391 a tempo indeterminato, e si è fatto ricorso a ben 130 mila ore di straordinari e supplementari. Come si fa a giustificare allora che non c’è modo di ricollocare le 8 persone dichiarate in esubero nello stesso territorio?». Inoltre, il sindacato chiede di non tener conto solo della possibile recettività  della rete autostradale, ma anche di tutti i 375 punti vendita nazionali di Autogrill, compresi marchi come Ciao, Spizzico o Burger King.


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