Recessione infinita per l’Italia 18 mesi consecutivi di Pil negativo

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ROMA — Una recessione interminabile. Il 2012 si è chiuso con il Pil in calo del 2,2 per cento. È il sesto trimestre consecutivo, cioè un anno e mezzo, in cui l’Istat registra una discesa del prodotto: meno 0,9 per cento rispetto al precedente trimestre. È il dato peggiore dal 2009. Ma è anche un ritorno a vent’anni fa perché l’economia italiana andò così male nel 1992 quando il governo di Giuliano Amato fu costretto a mettere in campo la manovra monstre da 90 mila miliardi di lire (il 5,8 per cento del Pil in un colpo solo).
Il Pil calerà  ancora nel 2013: almeno l’1 per cento, secondo le stime dell’Istat sulla base dei dati già  acquisti. D’altra parte tutti i centri di ricerca, da quello della Banca d’Italia al Fondo monetario internazionale, fissano ormai nel 2014 l’anno della possibile inversione di tendenza. E con un Pil che non cresce continuerà  a scendere l’occupazione. Dal 2007, l’anno che precede la Grande crisi globale, abbiamo perso 1,5 milioni di posti di lavoro con il tasso di disoccupazione che è raddoppiato. Gli economisti insegnano pure che senza una crescita almeno del 2 per cento l’anno è difficile aumentare anche di poco il tasso di occupazione. Questo è lo scenario.
La causa principale è certamente il peggioramento della congiuntura internazionale. Tutta l’Europa sta decrescendo (sta frenando pure la locomotiva tedesca), gli Stati Uniti si sono fermati e il caro euro (+13 per cento da luglio 2012 rispetto al dollaro) incide non poco sulle nostre esportazioni nei paesi extra Ue. Ma ci sono pure ragioni interne: per esempio, secondo l’economista Francesco Daveri dell’Università  di Parma, che ha scritto un articolo sul sito lavoce.info, pesa «il mancato effetto positivo delle liberalizzazioni su consumi e investimenti». Solo a marzo si conoscerà  il dato definitivo relativo ai consumi ma è probabile che si attesti intorno a un meno 3,5 per cento. Il tracollo del mercato pubblicitario ne è solo una conferma, o l’altra faccia della medaglia. Ieri sono arrivati i numeri dell’indagine Nielsen riguardanti il 2012: l’anno si è chiuso con un crollo del 14,3 per cento, il peggior risultato degli ultimi vent’anni. In termini reali si torna addirittura al 2001. Una crisi così lunga fa pensare che siamo ormai di fronte a un mutamento strutturale, non più congiunturale, del mercato della pubblicità .
Sul comportamento dei consumatori e degli investitori incide, non c’è dubbio, l’incremento della pressione fiscale. Ma — secondo una ricerca dell’Fmi citata sull’ultimo numero dell’Economistin edicola da domani e che dedica all’Italia la copertina (“Who can save Italy”) — con le riforme, più concorrenza e un mercato del lavoro diverso, la ricchezza pro capite potrebbe crescere del 5,7 per cento nell’arco di cinque anni e del 10,5 per cento in un decennio. Se a questo si affiancasse la riforma del sistema fiscale il Pil potenziale italiano potrebbe crescere oltre il 20 per cento in dieci anni. Dovrebbero essere questi — secondo il settimanale britannico — gli obiettivi del prossimo governo. Eppure nella campagna elettorale dominano altri argomenti. «Il paese sta andando alla deriva — ha detto il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti — e coloro che dovrebbero riprendere il timone, cioè i partiti politici, parlano di altro, di alleanze, di come spartirsi il potere, e non di come governare. Non c’è da essere fiduciosi».


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