Timbuktu: la cultura salvata dal digitale e dal sociale

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Un tesoro inestimabile per il Mali e una rara testimonianza scritta dell’intera storia africana fatta di migliaia di testi in arabo, ebraico antico, turco, Songhai (antico popolo che aveva costruito un autentico impero lungo le coste del Niger), Tamashek (la lingua dei Tuareg) e Bamanankan (o lingua dei Bamanan, antica lingua Mandingo parlata in Mali). La ricerca storica su questi documenti ha permesso di capire più a fondo la cultura africana dei secoli precedenti in ambiti come la legge, l’astronomia, la teologia, la medicina e il commercio preservandone la memoria dopo l’impatto della colonizzazione europea sulle tradizioni e sui saperi locali.

L’edificio che ha custodito per decenni questo patrimonio è stato riprogettato nel 2003 all’interno del South African-Mali project dall’allora presidente del Sud Africa Thabo Mbeki, nell’ambito dell’iniziativa culturale New Partnership for Africa’s Development. Finito di costruire nel 2009, con i suoi 4.600 metri quadrati di grandezza, l’Ahmed Baba Institute, o Istituto Ahmed Baba d’Istruzione Superiore e della Ricerca Islamica, dispone di sistemi di aria condizionata per preservare i manoscritti dall’usura del tempo e di un sistema antincendio automatizzato che sfortunatamente, però, non è bastato a proteggere tutte le sue preziose carte.

Un primo pessimistico resoconto sui destini di questi Manoscritti del Sahara era stato, infatti, diffuso a fine gennaio, all’indomani della liberazione di Timbuktu da parte delle forze speciali francesi, quando si era fatta strada la notizia della distruzione quasi totale di circa 3.000 testi dati alle fiamme, prima della fuga, dai ribelli jihadisti che avevano occupato da mesi la città  maliana. In realtà  la maggior parte dei documenti storici custoditi a Timbuktu sarebbe stata salvata grazie a un programma di digitalizzazione dei manoscritti sviluppato sotto la supervisione dell’Unesco sempre all’interno del South African-Mali project e grazie alla tradizionale vocazione alla conservazione dei documenti da parte della popolazione.

A diffondere quella che oggi pare ben più di una speranza sono state in febbraio le dichiarazioni del professor Shamil Jeppie, dell’università  di Cape Town, esperto dei preziosi manoscritti della città  sahariana e quelle del ricercatore anch’esso sudafricano Mohamed Mathee. Direttamente coinvolto nel Timbuktu Manuscripts Project, e più volte presente in Mali nell’ultimo decennio proprio per seguire lo stato di avanzamento di questa fondamentale opera di conservazione, Mathee ha dichiarato alla BBC che “la gran parte dei manoscritti, presumibilmente il 95%, sarebbe stata salvata e messa in sicurezza ben prima del recente acutizzarsi degli scontri”, che avrebbe portato i ribelli jihadisti a bruciare monumenti, biblioteche e altri edifici prima di abbandonare la città . “Negli ultimi anni, infatti, migliaia di documenti custoditi nella biblioteca erano stati salvati in digitale, nell’ambito di un progetto portato avanti già  da diverso tempo in collaborazione con il Sud Africa che ha fornito al personale del posto corsi di formazione sui metodi di conservazione e digitalizzazione dei preziosi manoscritti. Grazie a ciò, i ricercatori africani potranno continuare a lavorare dai propri computer, studiandone le scansioni digitali”.

Ma il contributo digitale non è stata l’unica risorsa che ha salvato i manoscritti. Una gran parte degli antichi testi era stata portata via dalla biblioteca prima che i ribelli islamisti occupassero la città  nell’aprile del 2012. “Gli archivi e gli scaffali vuoti – ha spiegato Mathee – non costituiscono una prova a sostegno del fatto che i manoscritti siano stati dati alle fiamme e distrutti”. Per Mathee, infatti, esisterebbe una sorta di tradizione secolare nella protezione e nella conservazione dei manoscritti da parte degli abitanti di questa città  che “quando hanno a che fare con rischi di questo genere solitamente prendono con sé i documenti e li mettono al sicuro presso le proprie abitazioni permettendo così a Timbuktu di affermarsi nei secoli come vero e proprio scrigno di tesori storici, artistici e culturali di inestimabile valore”.

In particolare Abba Alhadi, il vecchio custode che per quarant’anni si è preso cura dei manoscritti dell’Ahmed Baba Institute, e Abdoulaye Cisse, direttore ad interim della biblioteca, con alcuni fidatissimi collaboratori, temendo per l’incolumità  dei documenti, hanno preso i libri prima e durante l’occupazione delle forze jihadiste e li hanno nascosti. Dove? Sia nei sotterranei del palazzo, dove ancora erano celati gran parte dei manoscritti, sia fuori dalla città  trasportandoli in sacchi di riso e miglio affidati a camionisti e motociclisti che nel più stretto riserbo li hanno portati fino a Mopti e poi a Bamako, a oltre 1000 chilometri da Timbuktu.

Analogamente Sid Ahmed, un giornalista di Timbuktu fuggito a Bamaki, capitale del Mali negli scorsi mesi, ha riferito al National Geographic che non solo l’Ahmed Baba Institute, ma tutte le biblioteche, incluse quelle celebri di Mamma Haidara e Fondo Kati, hanno messo al sicuro le proprie collezioni prima dell’irruzione delle forze islamiste in città  “grazie a decine di persone di questi posti che hanno la memoria lunga e sono abituate a nascondere i manoscritti spingendosi anche nel deserto per seppellirli in posti sicuri”. Del resto “I manoscritti sono il vero oro della città  – ha detto Mohammed Ahali, una guida turistica di Timbuktu – sono le nostre moschee e la nostra storia, sono questi i nostri tesori. Cosa sarebbe Timbuktu senza di loro?”

“È proprio questo spirito ciò che rende unica Timbuktu – ha concluso Mathee – l’idea della biblioteca-archivio era nata proprio con l’intento di salvare questi manoscritti. […] Vogliamo che il mondo si interessi a questa tradizione di difesa popolare della conoscenza e vogliamo provare a renderla evidente in modo ancora più tangibile rispetto a quanto avvenuto finora’”. Così anche se non c’è stato nulla da fare per i testi delle sale di restauro che sono tutti andati bruciati, molte delle preziose testimonianze scritte custodite da Timbuktu al momento sono salve e con esse la storia millenaria dell’Africa, grazie al lavoro di digitalizzazione nato dalla cooperazione internazionale, alla vocazione della società  alla conservazione delle fonti storiche e al coraggio di uomini come Cisse e il vecchio Abba Alhadi.

Alessandro Graziadei


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