Storico sì delle Nazioni Unite via a un Trattato sulle armi per controllare le esportazioni

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NEW YORK — Il signore della guerra Nicolas Cage apre il film “Lord of War” chiedendosi: «Ci sono più di 550 milioni di armi da fuoco in circolazione nel mondo. Significa che ce n’è una ogni dodici persone nel pianeta. La domanda è: come armiamo le altre undici?». Ora sarà  più difficile per i veri trafficanti internazionali e per tutti gli Stati esportatori aumentare il già  ricco (oltre 70 miliardi di dollari, secondo solo al narcotraffico) mercato. Le Nazioni Unite hanno infatti approvato ieri il primo trattato internazionale che regolerà  (o almeno ci proverà ) il commercio delle armi convenzionali. La risoluzione, a cui l’Onu lavorava da oltre sette anni, passa con 154 voti a favore, 3 contrari, gli scontati Siria, Corea del Nord e Iran e 23 astenuti con Russia, Cina, Cuba e India in testa. Quando dal tabellone luminoso dell’Assemblea Generale è stato chiaro che i sì avrebbero vinto nettamente l’aula si è alzata in piedi ad applaudire la notizia.
Per l’entrata in vigore ora servirà  che almeno 50 Paesi lo ratifichino ma intanto è «un passo simbolico, storico», come dicono in molti. Nel filtro dell’accordo finiranno carri armati, veicoli corazzati da combattimento, sistemi di artiglieria di grosso calibro, aerei, elicotteri d’attacco, navi da guerra, missili, lanciamissili ma anche armi portatili e leggere.
Il testo rende ancora più rigide le norme sull’esportazione di materiale bellico verso i Paesi sottoposti ad embargo, così come la vendita di armi che potrebbero poi essere usate per genocidi, crimini contro l’umanità , contro le donne e i bambini o in azioni di terrorismo. Non avrà  vincoli coercitivi, ma favorirà  la trasparenza su decisioni e numeri e dunque una maggiore possibilità  di controllo dell’opinione pubblica sulle scelte prese dai singoli governi, che saranno chiamati a rispondere anche ai rispettivi parlamenti.
Insomma niente di reale e immediato, tanto più che tra i Paesi astenuti ci sono alcuni tra i maggiori produttori ed esportatori di armi, ma i commenti sono positivi. Il governo italiano, che ha ovviamente votato a favore, definisce il risultato «un necessario passaggio nell’impegno di garantire pace e sicurezza, legalità , diritti umani e sviluppo». Thomas M. Countryman, che guida la delegazione americana non ha dubbi: «Forse non avrà  un impatto immediato, ma nel tempo darà  i suoi frutti. Servirà  a ridurre la violenza nel mondo». «È una risoluzione – aggiunge il segretario di Stato Usa, John Kerry – che rafforza la sicurezza globale». E il ministro tedesco degli Esteri, Guido Westerwelle parla di «una pietra miliare per i nostri sforzi a livello internazionale tesi al controllo delle armi». E pure Amnesty International, come riporta il New York Times, applaude: «Certo, non è l’accordo che avevamo sperato, ma obbliga tutti gli Stati ad una maggiore trasparenza ed è un effettivo passo in avanti. Siamo comunque soddisfatti».
Chi non è contento è la National Rifle Association, la lobby degli armaioli americani, che ha fatto di tutto per impedire che il trattato venisse approvato. E non sono mancati in questi giorni gli attacchi a Obama, che invece ne è stato uno dei principali sostenitori: «Nemmeno l’Onu può violare il sacrosanto diritto a possedere armi sancito dalla Costituzione», scrivono nei blog bellicosi militanti furibondi con la Casa Bianca e con «gli altri che si impicciano dei fatti di casa nostra ». Ma la Nra si può consolare con il mercato interno dove, come scriveva ieri il Washington Post, dopo oltre tre mesi dalla strage di Newtown la riforma per un maggiore controllo delle armi si è arenata, praticamente sepolta, al Congresso.


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