Un vicolo cieco che fa nascere strane tentazioni

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«Osservo le affermazioni e le decisioni del capo dello Stato», ha detto il candidato del Pd a Palazzo Chigi alludendo ai limiti temporali dei «10 saggi» designati dal Quirinale e in scadenza poco prima della metà  di aprile. Dando a queste personalità  fra gli otto e i dieci giorni di tempo per svolgere il loro lavoro, «mi pare che Napolitano alluda al fatto che la ripartenza sarà  consegnata al nuovo presidente».
Insomma, per tentare di avere una maggioranza che risolva il rompicapo del risultato elettorale del 24 e 25 febbraio bisognerà  aspettare almeno un altro mese: le Camere e i delegati regionali chiamati a scegliere il capo dello Stato saranno convocate a partire dal 15 aprile. E probabilmente saranno le dinamiche parlamentari a plasmare anche le alleanze successive. Il problema che si comincia a delineare riguarda il vuoto decisionale delle prossime settimane. Il governo di Mario Monti è dimissionario, e per ora non ci sono reazioni troppo negative dei mercati finanziari. Ma i partiti sono inquieti, e le tentazioni elettorali serpeggiano quanto i sospetti di manovre dilatorie.
Si attribuisce a Silvio Berlusconi l’intenzione di ottenere garanzie sulla figura del prossimo capo dello Stato; e una voglia crescente di forzare i tempi e andare al voto anticipato entro fine giugno o perfino ai primi di luglio. Teme infatti non solo l’ingorgo istituzionale ma quello fra votazioni per il Quirinale e processi che riguardano Berlusconi. Il 18 aprile la Corte di Cassazione deciderà  sullo spostamento del suo processo da Milano a Brescia.
E subito dopo, il 20 aprile, si riaprirà  il processo su Ruby, la minorenne marocchina per la quale il capo del Pdl è imputato. E il 22 continuerà  quello che riguarda presunti reati commessi da Mediaset. In teoria, la coincidenza con la riunione delle Camere potrebbe far concedere il legittimo impedimento a Berlusconi. Ma la tensione è comunque destinata a crescere. Per questo gli si attribuisce una certa fretta di sottrarsi a quella che vede come una tenaglia giudiziaria; e di puntare subito alle elezioni. In teoria, se per il Quirinale si trova rapidamente la soluzione, i tempi ci sarebbero: tra l’altro, Napolitano appare deciso ad accelerare al massimo. Ma ci si arriverebbe a luglio, più che a giugno: in piena estate.
Se non decolla una «collaborazione forzosa» fra Pdl e Pd, insistono i berlusconiani, meglio le urne. Però bisognerebbe spiegare perché ci si torna senza cambiare una legge elettorale sinonimo di ingovernabilità . «Nell’ipotesi più probabile di andare al voto a luglio» ha spiegato ieri per il Pd Dario Franceschini, «occorre introdurre un correttivo per evitare che, chiunque vinca, si trovi nella stessa situazione di stallo». Insomma, l’ipotesi non si esclude neanche a sinistra. L’accusa a Bersani di essere interessato più al proprio destino che a quello dell’Italia può fare presa. Se però il Pdl passasse da un atteggiamento responsabile alla scelta di far saltare il tavolo, crescerebbe il rischio di regalare altri voti al Movimento 5 Stelle del comico Beppe Grillo o all’astensionismo: da un vicolo cieco all’altro.


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