Ambrosoli evita il minuto di silenzio «Non ce l’ho fatta»

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MILANO — «Non voglio fare polemica…». Umberto Ambrosoli parla a bassa voce, quasi a scusarsi: «È che proprio non ce l’ho fatta». Il minuto di silenzio in memoria di Giulio Andreotti a lui, figlio di Giorgio, l’uomo che morì per mano mafiosa indagando su Sindona e sui mille misteri d’Italia, non poteva non suonare come una specie di oltraggio personale. C’è quella frase — che poi il Divo Giulio rettificò e per cui chiese anche scusa — che non può non rimanere scolpita nella memoria di un figlio. «Una persona che se le andava cercando», sentenziò nel 2010 il senatore a vita a La storia siamo noi, a proposito del commissario liquidatore della Banca privata italiana.
Umberto ieri è uscito dall’aula, mentre i suoi colleghi consiglieri in silenzio e in piedi rendevano omaggio al sette volte presidente del Consiglio. Tutti, grillini inclusi. Non voleva rivendicarlo quel gesto, sperava quasi passasse inosservato. Dissociarsi senza clamore. Ai cronisti che lo incalzavano ha concesso poi solo poche e misuratissime parole. «Ho una storia personale che si mischia coi lati oscuri di quella di Giulio Andreotti, ma non è il caso di fare polemiche; è giusto che le istituzioni ricordino gli uomini delle istituzioni, ma chi ne fa parte faccia i conti con la propria coscienza. È comprensibile che in occasione della morte di persone che hanno ricoperto ruoli istituzionali di primo piano le istituzioni le commemorino. Ma le istituzioni sono fatte di persone, ed è legittimo che queste facciano i conti con il significato delle storie personali». E poi quella frase che ritorna: «Sono parole che racchiudono un’idea di responsabilità  istituzionale che non condivido», aggiunge Ambrosoli.
Un gesto privato, una rivendicazione di carattere personale. Un comportamento comunque «non elegante nei confronti di un politico che ha segnato la storia d’Italia», secondo il presidente lombardo Roberto Maroni. I due, Maroni e Ambrosoli, sono stati i due grandi duellanti per la conquista di Palazzo Lombardia. Una sfida peraltro giocata sul filo della reciproca correttezza. Dopo la sconfitta, l’avvocato ha accettato di rimanere in Consiglio regionale, nel ruolo di coordinatore delle opposizioni di centrosinistra. Del minuto di silenzio «disertato» s’è parlato per tutto il giorno anche nei talk show televisivi. A L‘aria che tira su La7 è andata in onda la lite tra Lara Comi e Massimo Cacciari. «Il gesto di Ambrosoli non lo condivido per nulla», ha attaccato l’europarlamentare del Pdl. Durissima le replica del filosofo veneziano: «La signora conosce la storia italiana di quegli anni? Ci sono anche i testi di storia, si informi, legga qualche libro!».
Il gesto dell’avvocato ha raccolto applausi non scontati. Riccardo De Corato, ex vicesindaco pdl di Milano, dice di aver apprezzato soprattutto lo stile: «Lo capisco, è il minimo che potesse fare. Ed è stato un signore a dissociarsi con discrezione». Più prevedibile la solidarietà  ad Ambrosoli (e a Nando Dalla Chiesa, «un’altra personalità  che in queste ore si è dissociata dal clima di santificazione») piovuta ieri da Libertà  e Giustizia: «Andreotti nella sua vita oggi osannata e celebrata da tanti troppi personaggi della politica italiana non ha mai voluto rivelare le verità  sulle stragi che hanno insanguinato l’Italia».
I 5 Stelle lombardi, s’è detto, ieri sono rimasti al loro posto. Da segnalare però il commento postato su Facebook da Iolanda Nanni, una dei nove consiglieri del Movimento eletti al Pirellone. Eccolo: «Faccio un brindisi virtuale con il mio nonno comunista che purtroppo oggi non c’è più. Quando ero bambina, il nonno mi diceva: “Preparo la bottiglia di champagne, perché appena schiatta, bisogna festeggiare!”».


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