L’ex premier parte lesa, si va verso l’archiviazione

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ROMA — I soldi elargiti a Gianpaolo Tarantini «erano per aiutare un amico in difficoltà ». Quei 20 mila euro al mese versati tra il 2010 e il 2011 oltre al denaro utilizzato per ristrutturare la casa di Roma e per pagare le vacanze, «erano un regalo». Di fronte ai magistrati romani che indagano sul denaro — oltre un milione e mezzo di euro — sborsato all’uomo che gli procurava le donne per le feste, Silvio Berlusconi, convocato come parte lesa, nega fosse «il prezzo del ricatto». Anzi, assicura che non ci fu alcuna estorsione, reato contestato dai pubblici ministeri della capitale allo stesso Tarantini, a sua moglie Nicla e al faccendiere Valter Lavitola che fece da intermediario per la consegna delle somme.
L’inchiesta si avvia dunque verso l’archiviazione. L’interrogatorio del Cavaliere era infatti l’ultimo atto formale della fase istruttoria e l’intenzione dei pubblici ministeri sembra quella di chiudere il fascicolo. Resta però in piedi l’indagine parallela avviata a Bari dove Berlusconi è indagato proprio con Lavitola per aver indotto Tarantini a mentire.
Secondo l’accusa il suo obiettivo era infatti tenere «sotto controllo» l’imprenditore pugliese nel processo sul reclutamento delle escort da portare nei palazzi dell’allora presidente del Consiglio, per evitare che potesse svelare particolari imbarazzanti su quelle serate. Oppure confermare il fatto che Berlusconi fosse a conoscenza che le donne venivano pagate. In questo caso il Cavaliere avrebbe infatti rischiato l’accusa di favoreggiamento della prostituzione in concorso con lo stesso Tarantini.
L’inchiesta contro i coniugi Tarantini e Lavitola era stata avviata nel 2011 dai pubblici ministeri di Napoli Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli. Le intercettazioni telefoniche avevano infatti rivelato come il faccendiere avesse agganciato la coppia convincendola a «tenere sotto scacco Berlusconi per il processo di Bari». In particolare, nell’estate del 2010 — quando Tarantini era ancora agli arresti domiciliari per ordine dei giudici baresi che lo avevano messo sotto inchiesta per le escort, ma anche per la cessione di cocaina alle ragazze — li aveva avvicinati assicurando loro che avrebbe convinto Berlusconi a mantenerli. E così effettivamente avvenne.
Oltre ai versamenti mensili, si scoprì che il Cavaliere aveva acconsentito ad elargire ai Tarantini, sempre tramite Lavitola, 500 mila euro. Soldi che il faccendiere aveva però deciso di tenere per sé. A fine agosto 2011 i tre furono arrestati con l’accusa di estorsione, ma il giudice di Napoli ordinò il trasferimento degli atti a Roma per competenza. Un colpo di scena al quale ne seguì un altro appena cinque giorni dopo: il tribunale del Riesame ordinò la scarcerazione di Tarantini perché il reato da contestare non era l’estorsione, ma l’induzione a rendere dichiarazioni false e quindi bisognava indagare Berlusconi perché aveva pagato e Lavitola come «intermediario». In sostanza quei giudici ritennero che l’accordo fosse stato siglato tra il Cavaliere e il faccendiere e quindi il fascicolo doveva passare per competenza a Bari. Un pasticcio giudiziario che finì con l’accordo tra magistrati di procedere in parallelo. Il capitolo romano si avvia verso la chiusura. Adesso bisognerà  attendere l’esito delle verifiche effettuate in Puglia.
Fiorenza Sarzanini


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