Globalizzazione = Disuguaglianza. Parola di World Bank!

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Basu, intervistato da Pietro Veronese de la Repubblica, è intervenuto al Festival dell’economia nel seminario “economie emergenti e crisi globale”.

Il suo libro “Oltre la mano invisibile. Ripensare l’economia per una società giusta” (Roma Bari, edizioni Laterza, maggio 2013) è di un tempismo perfetto in quanto anche gli assiomi economici più noti possono essere messi in discussione.

Basu prende di petto una questione cruciale dei nostri tempi, la disuguaglianza. Il divario tra i più poveri ed i più ricchi che non è mai stato così alto. E disuguaglianza significa conflitto. “Se il mio benessere deve essere funzionale al tuo malessere e se la mia crescita dipende dalla tua decrescita, allora non può che aumentare il conflitto”.

“Si afferma che la crisi del debito sovrano in UE o la bolla dei subprime in USA vengono da lontano; dalla globalizzazione. Ma la globalizzazione è come la “forza di gravità”; c’è ed è inutile discuterne.

La crisi di oggi è una crisi delle economie ma anche della disciplina economica e quindi del pensiero. Dobbiamo aprire nuove strade.

Nel 2007-8 la crisi iniziò negli Usa con i subprime. Nel 2009 ho visto le conseguenze in India. In verità in diversi paesi se parliamo con le élites v’è lo stesso linguaggio. Se scendiamo un po’ più vicino alla gente possiamo trovare diverse sensibilità.

Il problema della crisi nella UE e in particolare dell’eurozona deriva dal fatto che esiste un’unione monetaria ma non quella fiscale. Negli ultimi anni i PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) hanno pagato molto – troppo per avere in prestito capitali.

“Ricordo l’inizio della crisi. Stavo comprando del pesce a New Delhi. Mi stavano chiamando moltissimi giornalisti. Gli Usa vennero declassati da Standard & Poors. Fino a sera giornalisti da tutto il mondo mi telefonavano. Gli azionisti a livello globale erano pronti a mobilitare ingenti capitali in cerca di nuovi mercati ove investire.

Il problema è che la BCE non può stampare denaro mentre la Federal Reserve può stampare ed influire maggiormente nelle politiche monetarie.

Il “rapporto Cina Usa” lo potremmo esemplificare così: “se tu prendi in prestito 10 $ da una banca significa che sei controllato dalla banca. Se prendi in prestito 10 milioni $ significa che sei tu che controlli la banca”. È la Cina, oggi, che controlla gli Usa, ma è anche preoccupata per l’Unione Europea che resta il suo maggior mercato.

L’errore sta, sempre secondo Basu, nell’art. 125 del Trattato di Lisbona che rende particolarmente difficoltoso il prestito di denaro.

Alla fine del 2011-12 il mercato finanziario ha iniziato a riprendersi con 1,3 trilioni di dollari riversati nelle banche per salvarle, posticipando però la soluzione del problema. Questo denaro nel 2014-15 dovrà essere restituito alla BCE, con contraccolpi non indifferenti se non si riuscirà a fare riforme importanti entro tale biennio.

La sofferenza è presente anche nei paesi emergenti che hanno un PIL maggiore dell’UE: 5% India, 7,7% Cina, Indonesia.

Non abitiamo più né gli Stati e né i Continenti ma il mondo. Quindi “servono Regole globali e collettive”. La prima è una politica monetaria gestita a livello globale. Le banche centrali su base continentale devono coordinarsi tra loro. Dobbiamo cooperare e non competere. Abbiamo 200 banche centrali che battono moneta. Pensiamo al Giappone. La sua banca ha deciso di iniettare molto denaro nel proprio mercato. Direzione giusta? In parte. Perché non coordinata con le policies di altri paesi.

La ricetta dell’economista indiano è quella di partire dal G20; dalle 20-25 economie più importanti. Meglio avere discussioni animate in questi luoghi per trovare dei minimi comun denominatori per disegnare dei percorsi comuni anziché affrontare “da soli” il mercato in mare aperto. Non riusciamo a fare incontrare 200 banche centrali ma 20 si.

Serve anche diminuire il conflitto nel lavoro. I Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) stanno crescendo moltissimo. C’è una resilienza nei sud e la novità è che “i sud commerciano sempre più con i sud. La Tata indiana docet”.

In passato la risorsa più importante per lo sviluppo è stato il lavoro. Poi si iniziò a delocalizzare. E con questo aumentarono le diseguaglianze sia dentro i paesi emergenti sia tra quest’ultimi ed i paesi sviluppati. Il difetto degli Stati di più antico sviluppo risiede nel fatto che non agiscono assieme. Pensiamo all’Europa molto economica e poco politica. Ancora divisa in Stati Nazione con ulteriori divisioni interne, come può avere voce in capitolo davanti ai Brics? Come può portare “più flessibilità nel mercato del lavoro europeo” per reggere la competizione con i giganti?

Non serve una mano invisibile ma serve una mano coordinatrice. E serve cultura, altruismo, norme sociali. Per nuove politiche per un mondo migliore. Alla fine Basu dichiara di essere ottimista.

Fabio Pipinato


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