Parte il negoziato Usa-Europa è subito scontro Obama-banche

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Si è aperto ieri a Washington il negoziato per costruire il “grande mercato unico” transatlantico degli scambi e degli investimenti. Lanciata al G8, la Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip) è stata presentata da Barack Obama e dagli europei come un motore di ripresa per le due aree economiche più vaste del pianeta. Il premier inglese David Cameron al G8 stimò in due milioni di nuovi posti di lavoro il beneficio “spalmato” sulle coste dell’Atlantico. Ma oltre all’eccezione culturale francese (che durante il G8 provocò una lite furibonda tra François Hollande e Manuel Barroso), due nuovi ostacoli sono nati nelle ultime settimane. Uno è ovviamente il Datagate che Obama ha cercato di disinnescare d’intesa con la Merkel, offrendo un tavolo parallelo di consultazioni Usa-Ue sulla raccolta di informazioni e la privacy. L’altra è una novità più recente: Wall Street e i banchieri europei sono d’accordo per “armonizzare” le regole della finanza. Ma per Obama sarebbe un arretramento: le regole Usa dopo la riforma dei mercati sono le più severe, sia per le limitazioni sui derivati, sia per la capitalizzazione imposta ai grossi istituti di credito (anche stranieri, se operano sulla piazza americana). Perciò la delegazione Usa sta tentando di escludere la finanza dal tavolo dei negoziati. La preoccupazione dello staff di Obama è che si creino nuove opportunità per uno “shopping” legislativo: i banchieri potrebbero andare a scegliersi quelle piazze dove trovano le regole più permissive. E’ già accaduto, quando JP Morgan Chase per sfuggire ai limiti severi entrati in vigore qui negli Stati Uniti con la legge Dodd-Frank (2010) ha opportunamente spostato a Londra le sue speculazioni sui derivati… con un “buco” di ben 6 miliardi di dollari nel 2012. Da Bruxelles, i funzionari della Commissione Ue rovesciano le accuse, denunciano il “protezionismo finanziario” della Casa Bianca, prevedono una “torre di Babele” se le regole per le banche non vengono armonizzate. In questo caso però si tratterebbe di un’armonizzazione al ribasso, favorevole ai banchieri e non agli interessi dei risparmiatori e dell’economia reale.

L’inedita alleanza tra Wall Street e la Commissione Ue, ripropone in modo rovesciato una contestazione che molte organizzazioni dei consumatori rivolgono alla Ttip, il nuovo cantiere delle liberalizzazioni. L’interesse generale rischia di essere sacrificato, denunciano in un appello comune molte di queste ong. I casi più controversi, per la sensibilità europea, riguardano l’agroalimentare. In questo settore è la normativa Usa ad essere considerata più lassista. Organismi geneticamente modificati, carne di manzo agli ormoni, carne di suini alimentati con “ractopamina”: i consumatori europei temono che l’America ottenga concessioni sull’export di questi prodotti. In quanto alle imprese europee uno dei loro obiettivi prioritari è ottenere l’apertura del mercato delle commesse pubbliche Usa.
Ma per l’Amministrazione Obama uno degli “effetti collaterali” più benefici dell’accordo transatlantico sarebbe al contrario di aumentare la pressione sulla Cina, per un rinegoziato delle regole globali che includa più diritti sociali e più tutele dell’ambiente. Nella strategia di Obama la Ttip si affianca ad un cantiere parallelo di negoziati in corso nell’Asia-Pacifico, ai quali la Cina non partecipa. La Trans-Pacific Partnership che coinvolge il Giappone, l’Australia, Singapore, la Maledia, il Canada e il Perù, prende di mira alcune “distorsioni” del commercio con la Cina, per esempio punta a limitare il ruolo delle imprese di Stato. Le multinazionali americane, d’intesa con quelle europee, denunciano da tempo il protezionismo occulto del governo di Pechino. Per consumatori e sindacati occidentali, la priorità è inserire “clausole sociali e ambientali” nel commercio con la Cina. Obama si è mostrato sensibile a questi argomenti e ha sperimentato una liberalizzazione “progressista” inserendo quel tipo di clausole in un trattato bilaterale con la Colombia.


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