Quando Mitterrand riunì il mondo a Parigi per bandire «l’atomica dei poveri»

Loading

Armi chimiche: solo nove Paesi al mondo, tra cui la Siria e la Nord Corea, non aderiscono alla Convenzione del 1993 per la loro messa al bando. Un successo diplomatico nient’affatto scontato, che prese forma alla Conferenza di Parigi del gennaio 1989, sotto la regia del presidente francese François Mitterrand. Nelle stanze del palazzo dell’Unesco, presenti delegati da oltre cento nazioni (per l’Italia il ministro degli Esteri Giulio Andreotti), tutti allora, a cominciare da Stati Uniti e Unione Sovietica, si ritrovarono insieme per dire basta allo spettro di quella che in gergo veniva chiamata «morte gialla». E’ quella stessa Convenzione approvata definitivamente nel 1993 che oggi viene invocata non a caso dalla Francia (ne ha parlato l’altro giorno il quotidiano le Monde ) come giustificazione legale per un attacco contro la Siria di Assad. Già un anno fa il presidente François Hollande aveva dichiarato che l’uso di armi chimiche «avrebbe costituito una causa legittima» per un intervento militare diretto.
Da una parte il principio della «responsabilità di proteggere» i civili (acronimo inglese R2P), fatto propria dall’Onu. Dall’altra la «Convention d’interdiction des armes chimiques» varata giusto vent’anni fa. Non fu una vittoria scontata, quella nata dalla Conferenza di Parigi del 1989: da quattro anni il dossier disarmo chimico risultava impantanato a Ginevra. La facilità di produzione e la difficoltà nel distinguere tra usi civili e militari rendevano estremamente sfuggenti gli arsenali chimici e batteriologici in oltre venti Paesi. Ma sul finire della Guerra Fredda i due quasi ex grandi nemici non erano più interessati a questo tipo di armamento. E a compattare il mondo contribuì la strage dei curdi voluta da Saddam Hussein nel 1988, le immagini delle donne e dei bambini gasati e supini nelle vie di Halalabja che arrivarono sulle nostre televisioni e che, decenni dopo a Bagdad, avrebbero anche mandato al patibolo Ali il Chimico e i suoi compari. Così come erano stati gli orrori sui campi di battaglia di Ypres, durante la Prima guerra mondiale, a portare alla firma del protocollo di Ginevra nel 1925 (di cui la Francia era il Paese depositario), protocollo che proibiva l’uso di gas letali nei conflitti (ma non la produzione e lo sviluppo di questi strumenti di morte).
Quasi 70 anni dopo Ypres, le immagini dei curdi di Halalabja suscitarono una forte indignazione e diedero forse un’accelerata ai negoziati. Anche se a Parigi i curdi non furono nemmeno invitati e lo stesso Mitterrand aprendo la Conferenza disse che non si trattava di un processo contro nessuno. Il Segretario di Stato americano George Shultz tuonò senza troppa convinzione: «Il mondo giudicherà chi non aderisce alla Convenzione». La Casa Bianca del presidente uscente Ronald Reagan in quel periodo era furiosa con Muhammar Gheddafi che aveva appena aperto con tecnologia europea la sua fabbrica di veleni a Rabta. Giulio Andreotti, ministro degli Esteri, si offrì di mediare tra Washington e Tripoli mentre nella Mosca di Gorbaciov si parlava della messa a punto di un apposito inceneritore per armi chimiche.
Quello era il clima. E la Convenzione di Parigi che ne fu il risultato sembrò chiudere definitivamente questo capitolo del disarmo mondiale apertosi nel lontano 1675 a Strasburgo, dove francesi e tedeschi si accordarono per non utilizzare in battaglia le pallottole avvelenate. «Certo la Convenzione fu uno straordinario successo diplomatico – dice al Corriere Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Archivio Disarmo –. Anche se un po’ malignamente si può notare che per loro natura le armi chimiche sono di difficile utilizzo e costituiscono un pericolo per gli stessi eserciti che le detengono. Non a caso il loro uso nella Seconda guerra mondiale fu estremamente limitato. Lo stesso Hilter usò i gas nei lager, non nei campi di battaglia. E non fu certo mosso da ragioni morali».
Dopo la Prima guerra mondiale, dice Simoncelli, i casi di armi chimiche usate in modo massiccio sono stati una decina. Dopo l’entrata in vigore della Convenzione, quello del 21 agosto attribuito al regime di Assad è il primo. Forse anche questo spiega la cautela dell’Oiac, l’Organizzazione per l’interdizione delle armi chimiche (attualmente guidata dall’ambasciatore turco Ahmet Üzümcü), che ha il compito di vegliare sul rispetto della Convenzione del 1993 firmata da 188 nazioni. Simoncelli pone l’accento sulle procedure di verifica nel caso di Paesi (compresi i non firmatari) sospettati di aver violato la messa al bando delle armi proibite. È un processo lungo, che all’articolo 27 presuppone la collaborazione con le Nazioni Unite, alle quali viene demandata di fatto ogni decisione su possibili punizioni.
Michele Farina


Related Articles

La nuova strategia globale dell’Isis

Loading

Isis. La vera guerra è interna al fronte jihadista. Le prime vittime, i musulmani.

Iran, 31 morti nell’attentato a una parata militare ad Ahvaz

Loading

Iran. Teheran accusa “sponsor regionali del terrore” e Usa. Rivendica gruppo sunnita legato a Riyadh

Dall’Egitto alla Libia. Il triangolo Italia-el Sisi-Haftar

Loading

Giulio Regeni. Il governo Gentiloni ha archiviato il caso del ricercatore italiano torturato e assassinato al Cairo e normalizzato le relazioni con l’Egitto

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment