Quando la protesta si fa arte A Istanbul la mostra su Gezi

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A tempo di record, con uno scarto temporale minimo fra avvenimenti e rielaborazione artistica, l’estate della protesta turca ha già inaugurato la sua mostra sulle rivolte del Gezi Park.
Col titolo di «Estetica della resistenza» la galleria Park Art — nel distretto di Kadiköy, sulla sponda asiatica di Istanbul — espone fino al 31 agosto centotrentacinque opere d’arte di sessantadue tra fotografi, illustratori, pittori, scultori, fumettisti e digital artist, turchi ed anche stranieri, professionisti o ad inizio carriera. La mostra è aperta al pubblico a due passi da un altro parco, quello di Yogurtçu, dove da settimane si tengono forum di discussione, in uno dei vari esperimenti di nuova partecipazione alla vita pubblica disseminati per la città, diretta eredità dell’esperienza di piazza Taksim.
Sulle pareti della galleria di Kadiköy c’è il compendio di tutti i simboli della rivolta, della sua ironia come dei suoi momenti più neri. Ci sono le opere dell’artista iraniano Ali Mirzaiee realizzate dipingendo mascherine antigas: su una compare la figura della ragazza in abito rosso resa celebre da uno scatto fotografico. L’immagine è ripresa anche da un’altra artista, Gaye Kunt, che di rosso veste la Venere del Botticelli e le infila in testa una voluminosa maschera antigas.
C’è poi la sagoma del pinguino declinata nelle maniere più fantasiose, a rappresentare la censura tv delle prime ore, quando la CNN turca mandava in onda un documentario sulla vita di questi animali mentre le televisioni internazionali trasmettevano le immagini della piazza. In uno dei lavori d’illustrazione più eloquenti, quello di Ali Benice, si vede un enorme pinguino che cova una lampadina di colore arancio, il simbolo dell’AKP, il partito del premier Recep Tayyip Erdogan.
«La selezione delle opere è stata compiuta con l’aiuto di un legale per tutelare noi e gli artisti» ci spiega Bahar Aykaç, curatrice dell’esposizione. «Questa mostra è, infatti, essa stessa una protesta. L’allestimento è stato un lavoro collettivo, senza che un singolo decidesse come posizionare le opere: ciascuno dei volontari che hanno lavorato con noi ha scelto dove collocare un pezzo. Lo abbiamo fatto insieme, proprio come è successo nell’esperienza di Gezi». Sulle pareti non mancano le celebri maschere di Anonymous, acquistabili dai venditori ambulanti a ogni angolo della città: qui sono dipinte con scene di scontri, coi poliziotti schierati davanti ai dimostranti.
«Stare in questa galleria è come guardare un album di famiglia» ci confida Esin, una giovane donna che ha partecipato al movimento di protesta e che è venuta a visitare l’esposizione. «Di solito in una mostra si cerca di entrare nella mente e nelle intenzioni dell’artista, di capire le opere, ma qui si tratta di una mente collettiva, qualcosa di cui anche noi abbiamo fatto parte».
A rendere la distanza tra opera e spettatore ancora più sottile, la galleria invita a lasciare commenti e pensieri e ad appiccicarli alle pareti: «Ho asciugato le mie lacrime a Gezi», si legge su uno dei bigliettini. Soner, un altro giovane visitatore, si avvicina a una serie di quadretti e ci indica una fotografia di quello che chiama «un uomo davvero intelligente»: il concorrente di un gioco televisivo che in diretta nazionale fornì ogni sua risposta al quiz facendo riferimento alle proteste.
Dopo i giorni di Bayram (le feste per la fine del Ramadan) e in piena vacanza estiva, sembra che gli echi della piazza siano relegati per ora solo alle pareti di una galleria, anche se sono in molti a ripetere che non è finita qui. E a giudicare dallo strabiliante moto perpetuo di Istanbul, potrebbe davvero essere così.


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