«La Chiesa non sia ossessionata da divorzio, gay e aborto»

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Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso». Resterà nella storia, l’intervista che papa Francesco ha concesso a padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica. Sei ore di colloquio in tre giorni, 29 pagine pubblicate in contemporanea da altre 16 riviste della Compagnia di Gesù nel mondo. E, al centro, la preoccupazione formulata a Rio de Janeiro, parlando della gente che scappa dalla Chiesa come nel Vangelo i discepoli si allontanano verso Emmaus: «Siamo ancora una Chiesa capace di scaldare il cuore?». L’esortazione a cambiare «atteggiamento», la «prima riforma» da compiere. Una Chiesa «Madre e Pastora», prima che maestra. Che accompagni le persone come Gesù i due discepoli smarriti di Emmaus. Anziché pensare al «colesterolo», e insistere «sempre» e anzitutto sui principi non negoziabili, bisogna tornare all’essenziale, il kerygma, l’annuncio del Vangelo: «La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”». Omosessuali, divorziati, donne che hanno abortito. Il Papa parla a tutti coloro che si sono sentiti «feriti» da una Chiesa che deve riscoprire «le viscere materne della misericordia». E discorre di tante cose, anche dei suoi gusti artistici: Dostoevskij e Hölderlin e i Promessi sposi, La strada di Fellini, la Magnani e Fabrizi, Mozart e Puccini, Caravaggio e Chagall. Ma soprattutto dispiega l’idea di una Chiesa vicina e aperta a tutti. Che non scambia la fede con la «certezza totale» che «non va bene». Perché «se il cristiano è restaurazionista, legalista, se vuole tutto chiaro e sicuro, allora non trova niente». Non è «relativismo», dice. Ecco le parole di un Papa che chiede una «conversione», la metànoia che in greco viene dal verbo metanoein e significa «cambiare mente», modo di pensare. Ciò che diceva Ignazio di Loyola: «E siano spesso esortati a cercare Dio nostro Signore in tutte le cose…».
Omosessuali e divorziati
La Chiesa è «la casa di tutti, non una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone selezionate», dice Francesco: «Non dobbiamo ridurre il seno della Chiesa universale a un nido protettore della nostra mediocrità». E quando padre Spadaro gli chiede dei «cristiani che vivono in situazioni non regolari per la Chiesa o complesse» e parla di divorziati risposati e coppie gay, spiega: «A Buenos Aires ricevevo lettere di persone omosessuali, che sono “feriti sociali” perché mi dicono che sentono come la Chiesa li abbia sempre condannati. Ma la Chiesa non vuole fare questo». E ancora: «La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile. Una volta una persona, in maniera provocatoria, mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda: “Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?”. Bisogna sempre considerare la persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Accompagnare con misericordia».
Riforme. «Mai stato di destra»
Francesco spiega che «le riforme organizzative e strutturali sono secondarie, vengono dopo» e non avvengono a «breve» perché c’è bisogno del «tempo del discernimento» per «un cambiamento vero, efficace». Dice che da giovane lo consideravano «ultraconservatore» perché decideva troppo in fretta. «Ma non sono mai stato di destra». E spiega che i dicasteri vaticani non devono «diventare organismi di censura».
Cambiare atteggiamento
Ma «la prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento». Si guardi ai lontani: «Invece di essere solo una Chiesa che accoglie, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n’è andato o è indifferente. Chi se n’e andato, a volte lo ha fatto per ragioni che, se ben comprese, possono portare a un ritorno».
L’aborto. «Misericordia, non tortura»
«Questa è anche la grandezza della Confessione: valutare caso per caso, discernere qual è la cosa migliore da fare per una persona che cerca Dio», spiega Francesco: «Il confessionale non è una sala di tortura, ma il luogo della misericordia nel quale il Signore ci stimola a fare meglio che possiamo. Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?».
Temi etici
L’essenziale è annunciare il Vangelo: «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna farlo in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione». E poi «una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza». Bisogna «trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte». È dalla «proposta evangelica» che «poi vengono le conseguenze morali».
Donne al vertice della Chiesa
«Bisogna lavorare di più per fare una profonda teologia della donna», dice Francesco. «Il genio femminile è necessario nei luoghi in cui si prendono le decisioni importanti. La sfida oggi è proprio questa: riflettere sul posto specifico della donna anche proprio lì dove si esercita l’autorità nei vari ambiti della Chiesa».
«Io, peccatore» e Caravaggio
«Quel dito di Gesù verso Matteo. Così sono io», dice il Papa citando la Vocazione del Caravaggio. «È il gesto di Matteo che mi colpisce: afferra i suoi soldi: “no, non me!”. Significa che identifica Matteo non nell’uomo con la barba, secondo tradizione, ma nel ragazzo in fondo: «Questo sono io: “un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi”. È quel che ho detto quando mi hanno chiesto se accettavo la mia elezione a Pontefice».


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