Aborto, alla Camera flop della 194 i medici obiettori negano la pillola

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ROMA — Niente “pillola del giorno dopo” all’ambulatorio della Camera dei deputati, sono tutti obiettori. Ore 10,30 di lunedì scorso, una parlamentare si presenta al presidio sanitario di Montecitorio, chiede al medico di turno la prescrizione della capsula abortiva, ma si sente rispondere di no per un fatto di coscienza: «Anche il medico del turno successivo è obiettore, così come tutti gli altri colleghi qua dentro», le viene detto. «Ho incontrato la giovane collega all’uscita dell’ambulatorio — denuncia in serata in aula Pia Elda Locatelli, deputata socialista — era sorpresa, stupita, ma anche piuttosto arrabbiata. E, ovviamente, la vicenda ha colpito anche me». Appena tre mesi fa la Camera aveva denunciato la dismisura dell’obiezione di coscienza. «Un fenomeno che mediamente è attorno al 70 per cento in Italia, con punte estreme dell’80 per cento, ma non del 100 per cento come qui», puntualizza Locatelli.
La notizia si diffonde a macchia d’olio tra le parlamentari. Un gruppetto decide di fare un piccolo esperimento sul campo e prova a chiedere la pillola nelle farmacie del centro di Roma. Per tre volte di fila si sentono rispondere che non ce l’hanno, il quarto tentativo è finalmente quello buono. «E siamo nel cuore della Capitale, pensiamo quanta strada deve percorrere una donna in una valle di montagna», commenta una deputata democratica. Lo scorso 11 giugno la Camera ha approvato sette mozioni nelle quali, pur con sfumature e sensibilità diverse, si invitava il governo a dare piena applicazione alla legge 194 «da parte di ogni struttura pubblica o del privato accreditato». Un allarme che ha cementato destra e sinistra. I medici obiettori sono in aumento, lo spirito originario della norma del 1978 vacilla. E ora la scoperta che Montecitorio è peggio del Paese reale. «Ora proprio qui risiede la contraddizione: non solo non funziona per i cittadini, ma non funziona neppure in Parlamento, dove solennemente lo chiediamo e lo votiamo», fa notare l’onorevole democrat
Alessia Rotta, una delle fondatrici di “Se non ora quando” a Verona.
Annuisce Simona Malpezzi, Pd: «Non segnaliamo l’episodio per un fatto di casta, ma semplicemente per invocare la piena applicazione della legge a partire dal Parlamento, né abbiamo nulla contro gli obiettori, è un diritto che va preservato, ma le opzioni devono essere garantite entrambe». Quindi racconta che la Regione Lombardia, per superare il veto degli obiettori, è spesso costretta a ricorrere ai medici contrattisti, con un aggravio di costi di 300 mila euro annui. Rotta aggiunge: «I medici obiettori hanno più chance di fare carriera: questo è stato appurato da molte indagini». «Il diritto e il principio dell’obiezione — è il ragionamento di Locatelli — va difeso quando nasce da un vero convincimento morale e, però, in aula abbiamo ribadito che l’esercizio dell’obiezione di coscienza non deve impedire l’applicazione della legge in tutte le sue parti, a partire dal diritto di ogni giovane donna alla salute e all’autodeterminazione, come nel caso della nostra collega». È così che matura la decisione di far scoppiare il caso.
Pioveranno interrogazioni parlamentari. La vicepresidente Marina Sereni ha informato la presidente Laura Boldrini. I questori apriranno un’istruttoria. «Paghiamo un servizio, dev’essere conforme alla legge», precisa Sereni. «I funzionari mi hanno detto che il medico rianimatore, che però non fa parte del presidio ambulatoriale, avrebbe potuto redigere la prescrizione». Alla fine la giovane parlamentare si è dovuta arrangiare: è stato un medico deputato a scriverle la ricetta.


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