GLI SCRITTORI DELLA RIVOLUZIONE

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«La rivoluzione degli ultimi due anni ha talmente trasformato le coscienze che non sarà più possibile vivere e scrivere come prima». La scrittrice tunisina Azza Filali riassume così la situazione in cui si trovano molti scrittori del suo paese e, più in generale, di tutto il Maghreb. Un mondo dove soffia un vento di libertà che scuote la società civile e l’universo della cultura, rimettendo in discussione lo status quo e favorendo la nascita di nuove modalità d’espressione, anche se naturalmente non mancano le contraddizioni e i cambiamenti di rotta repentini. Di fronte agli avvenimenti degli ultimi tre anni, molti scrittori s’interrogano sul loro ruolo, domandandosi come rendere conto di quanto sta accadendo senza farsi fagocitare dall’urgenza dell’azione politica e senza rinunciare all’autonomia della letteratura. Alcuni di loro ne discuteranno da oggi al 15 settembre a Bellinzona, in occasione di Babel, il Festival di letteratura e traduzione, quest’anno dedicato alla francofonia africana.
Tra gli invitati, accanto al romanziere Kamel Daoud e all’editore Sofiane Hadjadj, ci sarà proprio Azza Filali, la quale nel suo ultimo romanzo –
Ouattan (Elyzad) – ha raccontato il clima corrotto e disorientato del suo paese immediatamente prima del crollo del regime di Ben Ali. La scrittrice rivendica il carattere «impegnato» della sua letteratura, ma facendo attenzione a distinguere la personale partecipazione alla vita politica del paese dall’attività di scrittrice, che invece preferisce prendere le distanze dalle vicende politiche contingenti: «La realtà della Tunisia è sempre presente nei miei libri, sullo sfondo o attraverso personaggi che ne evocano i problemi. Sto però attenta a non restare prigioniera della cronaca, perché la letteratura non ha il compito di restituire la realtà nella sua immediatezza. Al contrario, deve ricostruire il reale a partire dal vissuto emotivo e cognitivo dell’autore. La letteratura ha bisogno di tempi lunghi per lasciare decantare i fatti e permettere alle storie di maturare. Troppo a ridosso degli avvenimenti, la scrittura rischia di snaturarsi».
Non a caso, la romanziera tunisina ha aspettato quasi due anni prima di confrontarsi direttamente con «la primavera dei gelsomini », un’espressione che per altro ricusa, in quanto «tipica di un punto di vista occidentale, poco in sintonia con la drammaticità e la portata degli avvenimenti cui si riferisce ». Proprio in questi giorni sta concludendo il suo nuovo romanzo, Faits de peau, la cui vicenda si svolge nel mezzo della storia più recente: «Quello che m’interessa sono i personaggi, le loro storie. Insomma, la letteratura non deve essere presa in ostaggio dalla politica. Deve essere un percorso di libertà a partire dal proprio vissuto».
Una preoccupazione condivisa da Kamel Daoud, che, dopo una bella raccolta di racconti, La prefazione del negro (Casagrande), sta per  pubblicare un nuovo romanzo intitolato Meursault, la contre-enquête (Barzakh), nel quale riprende la storia dello Straniero di Camus, ma raccontandola dal punto vista di un arabo. «Libertà è anche dissacrare un testo sacro», spiega lo scrittore e giornalista, per il quale i cambiamenti intervenuti nel mondo arabo, pur tra mille contraddizioni e difficoltà, hanno aperto nuove prospettive per tutto il Maghreb, anche sul piano culturale: «Prima soffocavamo, pensando che nulla sarebbe mai cambiato. Oggi sappiamo che il cambiamento è già qui, e nulla sarà più come prima. Abbiamo riscoperto il senso della parola libertà e ci sono migliaia di storie da raccontare ». Una prospettiva che nelle sue opere si traduce in una scrittura dominata dall’ironia e dall’assurdo, nella convinzione che, per appropriarsi del reale, la letteratura debba preferire le vie traverse: «Di fronte ai problemi della società, e innanzitutto di fronte all’aggressività degli islamisti, ridere è il solo modo di salvarsi. Ricorrere all’assurdo non è un esercizio di pigrizia intellettuale ma un vero e proprio diritto».
Secondo Daoud, proprio questo atteggiamento battagliero nei confronti dell’intolleranza religiosa è uno degli elementi di novità della nuova letteratura maghrebina, che così si differenzia da quegli autori – ad esempio Kateb Yacine, Mohammed Dib, Rachid Boudjedra o Rachid Mimouni – che in passato si sono confrontati con la realtà coloniale e postcoloniale. Autori rispettati, certo, ma che oggi sembrano molto lontani dalle problematiche care ai lettori. Lo conferma Sofiane Hadjadj, che tredici anni fa ha fondato ad Algeri la casa editrice Barzakh: «Rispetto alle generazioni che li hanno preceduti, oggi gli autori sono più sensibili a una problematica individuale. Si chiedono come parlare della singolarità dell’individuo in una società da sempre dominata da una dimensione collettiva. Più che la politica, vogliono affrontare i problemi della quotidianità e in particolare la sessualità, che resta il problema fondamentale per molti».
In ogni caso però, anche per l’editore algerino, «la primavera araba non ha ancora prodotto una vera e propria primavera letteraria». Certo, gli scrittori si sentono più liberi, soprattutto le scrittrici, anche se per alcune tematiche (sessualità, esercito, religione) è ancora molto diffusa una sorta di autocensura. Anche per questo, sono ancora pochi gli autori che affrontano direttamente gli avvenimenti politici degli ultimi anni. Lo ha fatto ad esempio Tahar Ben Jelloun in un breve romanzo intitolato Fuoco (Bompiani), in cui ha rievocato la vicenda di Mohamed Bouazizi, il giovane che, immolandosi nel dicembre 2010, ha innescato la miccia della rivoluzione tunisina. Una stagione presente in maniera molto personale anche nelle opere del poeta tunisino Thar Bekri o del romanziere algerino Samir Toumi.
Il clima incandescente delle rivoluzioni arabe ha però potuto esprimersi nel cinema, nella musica e soprattutto nelle nuove forme di comunicazione, come testimonia il seguitissimo blog di Leena Ben Mennhi, in seguito diventato un piccolo libro, Tunisian Girl. La rivoluzione vista da un blog
(Alegre). La giovane autrice è per altro presente anche nell’antologia Nouvelles de Tunisie (Magellan et Cie/Elyzad), in cui, insieme a Imam Bassalah, Yamen Manai, Habib Selmi e Monique Zletaoui, ha provato a raccontare il nuovo volto del suo paese nato dalla rivolta popolare. Insomma, «il contesto della primavera arabo aiuta la letteratura a osare di più e ad essere più originale», conclude Hadjadj, che aggiunge: «Occorre però essere pazienti, senza cadere nella tentazione di scrivere per il pubblico europeo. La rivolta letteraria degli scrittori del Maghreb deve rivolgersi innanzitutto al pubblico dei nostri paesi».


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