Riforma sanitaria nel caos Entrano in campo i contractor
A evocare lo storico naufragio non è un leader repubblicano, ma Bill Daley, l’ex capo di Gabinetto di Barack Obama. La cui riforma sanitaria, se non sta affondando, sicuramente va alla deriva. Per le molte carenze emerse in corso di attuazione (ad esempio 8 milioni di poveri che non possono avere una polizza sanitaria nonostante la riforma sia stata concepita dai democratici proprio per estendere le cure ai meno abbienti), ma soprattutto per l’incredibile paralisi del sistema informatico di registrazione dei nuovi assicurati e di emissione delle polizze: il perno sul quale poggia l’intera riforma.
Furioso per quello che sta accadendo, bersagliato da mille attacchi, il presidente americano è corso ai ripari con una misura drastica ma che difficilmente sarà risolutiva: ha sottratto alla pubblica amministrazione il coordinamento dei sistemi informatici (fin qui era affidato ai centri federali di Medicaid e Medicare, le agenzie per la cura dei poveri e degli anziani), trasferendolo a un «general contractor» privato. Un’ammissione di impotenza, ma non è detto che la misura sia risolutiva. Intanto nel migliore dei casi il sistema informatico tornerà a funzionare regolarmente solo a fine novembre: a due settimane, cioè, dalla scadenza per la sottoscrizione delle nuove polizze che devono entrare in vigore dal primo gennaio.
È vero che esiste un’altra scadenza, fine marzo del 2014, per mettersi in regola con la legge e ottenere una nuova copertura assicurativa: e c’è un mezzo impegno del governo a concedere una proroga di sei settimane. Ma ci sono già centinaia di migliaia di americani — forse milioni — col fiato sospeso: i loro datori di lavoro hanno disdetto le polizze spingendoli verso gli «exchange», i mercati creati dal governo che avrebbero dovuto offrire coperture migliori a prezzi più bassi. In molti altri casi, poi, sono state le stesse assicurazioni a comunicare agli utenti che la loro copertura medica scadrà il 31 dicembre perché non più «a norma»: non rispetta i parametri(perché magari non comprende le spese di maternità o altro) imposti dall’«Affordable Care Act», la riforma di Obama, a partire da gennaio 2014.
Una massa enorme di cittadini (nella Florida l’assicurazione Blue Cross ha inviato 300 mila lettere di disdetta) che ora temono di restare senza assistenza visto che il meccanismo di stipula delle nuove polizze è bloccato. A salvare il sistema dovrebbe essere la Quality Software Services, la società informatica di UnitedHealth, il più grosso gruppo assicurativo d’America. È impegnata da mesi nell’impresa e con risultati non entusiasmanti: è suo il sistema di identificazione dei nuovi assicurati che sta dando parecchi problemi. I suoi rappresentanti sono comparsi tre giorni fa davanti al Congresso che sta indagando sul flop di Obamacare : hanno scaricato le responsabilità sulle agenzie federali incapaci di coordinare e su Cgi, l’altro grosso «contractor» privato. Ce la faranno quelli di UnitedHealth? Molti i dubbi, anche alla Casa Bianca, ma, costretti ad arrivare in porto in poche settimane, non potevano certo chiamare un esterno che avrebbe dovuto ripartire da zero.
Sopravvissuta agli attacchi furiosi dei repubblicani, che hanno paralizzato il governo per cercare di arrestare il cammino della riforma, Obamacare rischia, insomma, di affondare per l’enorme complessità del sistema, basato su centinaia di compagnie private, e per l’incompetenza del governo. Ancora intenti a leccarsi le ferite dopo aver perso il braccio di ferro sul debito pubblico, i repubblicani scoprono che possono ancora vincere la battaglia della sanità: per un autogol. Il loro leader, John Boehner, sottolinea che fino a oggi con la riforma sono più i cittadini che hanno perso la mutua di quelli che l’hanno ottenuta. Festeggia perfino Ted Cruz, il campione dei Tea Party, accusato di aver portato i conservatori al massacro col suo oltranzismo: «Avevo ragione io, questa riforma è un disastro ferroviario», grida dal palco di un comizio in Iowa. Forse il primo passo verso la sua candidatura alle presidenziali del 2016.
Massimo Gaggi
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