I no delle Regioni, i ritardi dell’Inps imprese strozzate dall’indennità bloccata

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ROMA — È tutto scritto nei numeri. Nel mese di settembre le ore di Cassa integrazione in deroga sono crollate. Meno 54% rispetto ad agosto. E meno 40% sull’anno prima. Crisi finita? Le piccole e piccolissime aziende, gli artigiani, i commercianti, le cooperative non hanno più bisogno dell’unico ammortizzatore sociale a cui possono accedere?
Al contrario. Il crollo di ore – 17 milioni appena contro i 38 milioni di agosto e i 29 milioni del settembre 2012, dati Uil – è l’indice più chiaro di un blocco, di una paralisi evidente.
Le Regioni non autorizzano le ore, nonostante le richieste straboccanti. L’Inps non paga. I lavoratori non hanno l’assegno. Perché? Perché i fondi non ci sono. Lo Stato li stanzia con ritardo. E quando lo fa le risorse servono a saldare i mesi passati. Un inseguirsi disperato tra Stato centrale in difficoltà con i conti, Regioni ferme, aziende sull’orlo della chiusura. E famiglie alle prese con un fine mese perenne. La riprova è il dato della provincia di Catanzaro. La prima in quanto a diminuzione delle ore autorizzate da un anno a un altro: meno 97,9%. Non meraviglia che venerdì scorso un gruppo di cassintegrati abbia bloccato le strade con i cassonetti davanti all’assessorato al Lavoro. Né che altri colleghi nelle stesse condizioni siano saliti sul tetto dell’Inps di Cosenza. Il dato della Calabria sulle ore di Cig in deroga autorizzate a settembre è di meno 98,5% sull’anno, meno 99,3% su agosto.
In questa triste classifica è il Sud a soffrire di più. Le crisi aziendali si susseguono senza tregua da cinque anni. Le commesse non arrivano. E la Cig in deroga è l’unico strumento (non c’è mobilità né sussidio di disoccupazione per questi lavoratori) che consenta di transitare verso la pensione o il passaggio ad altra occupazione. Di sicuro poi questi ultimi mesi dell’anno sono incandescenti. I 500 milioni appena liberati dal governo serviranno a tamponare le falle del passato. Poi ce ne sono altri 287 milioni, ma questi andranno solo a Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. D’altronde sono soldi proprio di queste Regioni, destinati a cofinanziare fondi europei, poi messi nel “tesoretto” di Barca, l’ex ministro della Coesione Sociale, e indirizzati proprio alla Cig in deroga di queste aree depresse.
Proprio ieri il coordinatore degli assessori al lavoro della Conferenza delle Regioni (e assessore toscano), Gianfranco Simoncini, ha quantificato l’ammanco da qui a fine anno tra 800 milioni e un miliardo. Un’enormità, in tempi di vacche magrissime e con l’Europa che fiata sul collo. «Per molte decine di migliaia di lavoratori non ci sarà copertura, diverse aziende licenzieranno, altre saranno costrette a fallire», dice Simoncini. Il ministero del Lavoro ricorda che sin qui sono stati stanziati già 2,5 miliardi per la Cig in deroga e che il governo farà «tutto il possibile per ridurre al minimo il disagio», metterà «ulteriori 330 milioni per il 2013» e 1,7 miliardi sul 2014 su questo strumento (in attesa di riformarlo). «Avvertiamo una certa disperazione in giro», conferma Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre, associazione degli artigiani. «Piccole imprese strette tra banche, Stato e Regioni con i rubinetti chiusi. La Cig in deroga è la loro polizza di assicurazione, uno strumento di speranza e fiducia. Il termometro per decidere se chiudere o continuare. Ecco perché è importante che il governo stanzi i fondi».


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