E Santoro mette in onda la «telefonata dei veleni»

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Le telefonate tra l’ex ministro Nicola Mancino e il consigliere giuridico del presidente della Repubblica, Loris D’Ambrosio, che sono state registrate nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta trattativa tra lo Stato e la mafia datata all’inizio degli anni Novanta e compaiono negli atti del processo, sembravano non avere più segreti. E non ne hanno se si tiene conto che le parole dette in quelle occasioni sono state rese pubbliche nei modi e nelle forme più diverse che la pubblicistica prevede. Ampi stralci, ricchi virgolettati, e, per quanto riguarda le trasmissioni tv, è stata usata a piene mani anche la tecnica del disegno con recitato.
Eppure questa sera nel corso del programma di Michele Santoro, Servizio Pubblico, quelle conversazioni ci saranno riproposte in originale, «una esclusiva», attraverso le voci originali dei due interlocutori, proposte con adeguata scritta per evitare che nessuna parola e nessuna sfumatura vada persa. Con le facce di chi ha parlato lì, sbattute in prima pagine se la televisione ne avesse una. Quella dell’ex ministro che parla in preda ad una evidente tensione. Quella assorta di Loris D’Ambrosio che visse sulla sua pelle l’evolversi di una vicenda nella quale si è cercato in tutti i modi di coinvolgere il presidente della Repubblica e che, prima presentò le dimissioni dall’incarico immediatamente respinte, e poi pagò con la vita, stroncato un infarto, la terribile tensione.
UNA STAGIONE AVVELENATA
Il documento che questa sera andrà in onda su La7, e che già si può vedere sul sito della trasmissione nell’anticipazione affidata a Sandro Ruotolo, non aggiunge niente a quanto è più che noto. Non toglie, non mette. In più la diffusione dell’audio viola l’articolo 684 del codice penale anche se è sanzionata con un’ammenda da 51 a 258 euro. Per quanto non segreta, la maggiore diffusione e propagazione dell’atto di fatto condiziona e può pregiudicare il procedimento giudiziario.
Non serve, dunque, ad una più approfondita conoscenza di una stagione di troppi veleni e non riesce a dare le risposte che ancora troppi attendono siano date. Alimenta, se possibile ancora di più, un clima di sospetto nei confronti dell’operato del presidente della Repubblica che pure la sentenza della Corte Costituzionale ha escluso da qualunque strumentale coinvolgimento, ordinando la distruzione delle conversazioni, anch’esse intercettate, tra Mancino e Napolitano. Che, peraltro i magistrati di Palermo potranno a tempo debito ascoltare anche se il presidente ha già spiegato che poco o nulla può aggiungere su quello che potrebbe essere il solo argomento del colloquio. Lo sfogo di D’Ambrosio che temeva nello svolgimento delle sue funzioni di magistrato nel periodo a cavallo degli anni Novanta di essere stato «un ingenuo e utile scriba». Anni quelli in cui tra Napolitano e D’Ambrosio non c’era alcuna collaborazione. Appare quindi difficile poter riferire su stati d’animo di tempi così lontani e che possono essere stati argomento di un eventuale scambio tra persone che si rispettavano.
Serve, questo sì, un’iniziativa di questo genere a riportare nel dolore più acuto i familiari del consigliere del presidente che risentiranno la voce del loro caro che hanno tanto prematuramente perso. E non certo in nome di un diritto d’informazione che mai come questa volta è stato espresso in tutte le sue forme e modi. Sintesi e trascrizioni accurate che siano state ce ne sono state tante.
C’è invece una questione di clima politico che deve allarmare. Sarà un caso ma l’iniziativa di Servizio pubblico sembra andarsi a saldare con quelle multiformi di Grillo che tace davanti ad uno dei suoi che accusa Napolitano di essere un boia e poi lancia sul suo blog un sondaggio per stilare la singolare classifica su quale sia la peggiore nefandezza di un presidente di cui si vuole chiedere l’impeachment anche per le sue intercettazioni che la Corte Costituzionale nella sentenza sul conflitto di attribuzione sollevato da Napolitano nei confronti della Procura di Palermo, ha ordinato venissero mandate al macero.
C’è una voglia di tenere alta la tensione, di farla risalire se solo si avverte un calo. C’è da preoccuparsi.


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