Bossi: governo avanti con le riforme Le frizioni Premier-Senatur

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MILANO — L’istante che vale una legislatura arriva all’ora di pranzo. A palazzo Grazioli ci sono Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, arrivato nella Capitale da pochi minuti. Con i due leader, anche Gianni Letta e Angelino Alfano per il Pdl, Roberto Calderoli, Roberto Cota e Luca Zaia per la Lega. Il premier parla, descrive gli assalti che gli arrivano da ogni parte («Guardate la Marcegaglia…») e, in particolare, dalla magistratura. Ma, spiega il premier, lui non ha alcuna intenzione di fare passi indietro: «Non capisco perché dovrei».

Quindi, arriva al punto. Si ferma e guarda negli occhi il leader leghista: «Umberto, io mi dimetto soltanto se me lo chiedi tu…». Non la butta lì nel corso del discorso per poi proseguire. Il capo del governo vuole una risposta. Bossi, probabilmente, non si attende una chiamata in causa tanto diretta, per giunta di fronte a una sia pur limitata platea. E di risposte vere non ne dà : «A me interessa la Padania».

Silvio Berlusconi sa quali corde toccare con «l’Umberto». Tra loro — il leader leghista lo ha raccontato tante volte — c’è un patto antico: «Quando esce di scena uno, se ne va anche l’altro». E per il capo leghista, anche se ci scherza sopra, la questione non è affatto uno scherzo.

E così, la decisione è confermata. Perché in realtà  era stata presa da giorni. Poi, in serata, Bossi ne parla pubblicamente. I cronisti chiedono se voterà  la richiesta d’arresto per l’ex collaboratore di Tremonti, Marco Milanese: «Io voto per non far cadere il governo». E aggiunge: «Tanto il processo va avanti comunque». Poi, spiega che con il probabile sconcerto della base non ci sono problemi: «Se lo diciamo io e Maroni insieme, vuol dire che abbiamo ragione. E la base è sempre con noi, non vi illudete». Per il ministro dell’Interno, un’investitura importante: Bossi lo accredita come co-decisore massimo all’interno del Carroccio. Peraltro, l’interessato nel pomeriggio aveva spiegato per l’ennesima volta che nel movimento non esiste alcuna divisione: «La Lega ha solo una e una sola posizione. E anche per il voto di domani (oggi) sarà  così». Bossi liquida invece l’ipotesi di un governo Alfano con Maroni vicepremier: «Questa la sento da voi per la prima volta» dice ai cronisti. E aggiunge: «Se Maroni ci sta… Ma non credo voglia prendersi una bega del genere».

Eppure, al di là  dei fatti di giornata, Bossi continua anche a dubitare esplicitamente sulla possibilità  che il governo arrivi a scadenza naturale. Domanda: il 2013 è ancora troppo lontano come data di scadenza dell’esecutivo? Risposta: «Sì, ma non te lo dico più…». Il punto è che ci sono da fare le riforme, e Bossi resta convinto che una chance ci sia.

Non è detto, tuttavia, che il capo leghista pensi a mettere in cantiere sul serio il Senato delle Regioni e le altre riforme istituzionali. Quello a cui certamente pensa sono gli ultimi decreti sul federalismo fiscale da far approvare al Parlamento. La delega al governo sull’argomento è stata prorogata nel maggio scorso di sei mesi. Il che significa che scadrà  per la precisione il 21 novembre prossimo. Dire che quella data potrebbe segnare la fine del governo Berlusconi sarebbe certamente una forzatura. Ma è vero, osserva un deputato, che «con questi chiari di luna, dopo quella data per la Lega ci sarà  una ragione in meno per restare al governo». Certo, Umberto Bossi si è reso conto che l’appeal del federalismo fiscale, tra crisi finanziaria e tagli agli enti locali, in questo momento è poco spendibile. E difatti, negli ultimi comizi ne ha parlato poco o nulla. Ma è altrettanto vero, ammette il deputato, che «il presentarsi a eventuali nuove elezioni con il federalismo monco sarebbe impensabile».

Il leader del Carroccio sembra invece intenzionato a chiudere il più in fretta possibile la polemica con Napolitano sulla secessione. Se in mattinata il capogruppo a Montecitorio, Marco Reguzzoni, aveva suscitato l’indignazione delle opposizioni affermando che al di sopra del capo dello Stato «esiste però il popolo», Bossi affronta l’argomento in modo un po’ curioso. Quando i cronisti gli chiedono della possibilità  di fare le riforme lui risponde di sì: «Ma non so cosa è andato a fare oggi Berlusconi da Napolitano…». Come se temesse chissà  quale complotto. Poi, però, spiega che Napolitano è «simpatico anche quando ci attacca», che nei prossimi giorni «andrà  a trovarlo». E che in ogni caso «ognuno deve fare le sue cose».


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